Dopo il pareggio ottenuto al San Paolo contro il Napoli, l’antagonista più vicina e più insidiosa nella corsa allo scudetto, è diventato ormai chiaro, anche ai sassi, che l’avversaria più pericolosa per la Juventus è, appunto, la Juventus stessa. Solo i bianconeri, infatti, possono perdere lo scudetto (possibilità, comunque, che non si può scartare a priori, anche se le probabilità che questo evento accada, domenica dopo domenica, tendono ad affievolirsi).
Ma al di là del risultato (alla Juve andavano bene sia il pareggio, che lascia inalterato il distacco di sei punti, sia ovviamente la vittoria), perché la sfida con il Napoli ha lasciato questa impressione? Che cosa mai hanno svelato i 90 minuti del San Paolo che già non sapevamo della Juve e della sua avversaria diretta al titolo?
In realtà, a corroborare la certezza che solo la Juve è padrona del proprio destino, non sono tanto e solo i novanta minuti della partita giocata, ma soprattutto le ore e i momenti precedenti la partita.
Tanto per essere subito chiari, alla vigilia della partita l’albergo dove era ospitata la Juventus è stato “circondato” dai tifosi partenopei con l’evidente – e attuato – intento di disturbare la concentrazione e di “intimidire” gli avversari. Non solo: l’arrivo della squadra bianconera al San Paolo, preparato da un “comitato d’accoglienza” un po’ focoso, che ha servito sul piatto un menu di insulti, con annessi lanci di pietre, bastoni e uova, doveva servire a “spaventare” staff e giocatori della Juve, minandone le certezze prima ancora di calcare il prato appena rifatto del San Paolo. Ma Conte, guerriero che ha affrontato partite e stadi incandescenti, non ha mai perso la calma (se un neo va trovato, diciamo che ha sbagliato a non dare la mano a Mazzarri) e ha infuso nei suoi giocatori la stessa mentalità granitica: non c’è ambiente ostile, non c’è bolgia, non c’è clima infuocato che può e deve far indietreggiare la squadra, pronta sempre e comunque a imporre il proprio gioco e a svolgere i propri compiti tattici con intensità e aggressività. Del resto, lo si era già visto al Celtic Park: gli scozzesi hanno fatto la voce grossa, hanno sbandierato propositi bellicosi, e dopo soli tre minuti si sono trovati sotto di un gol. Da lì in poi, a Glasgow, la Juve non solo ha retto come fortezza inespugnabile agli assalti dei “bhoys”, ma alla fine è uscita largamente vittoriosa con tre gol di scarto.
Al San Paolo, in pratica, soprattutto nel primo tempo, abbiamo assistito allo stesso, identico copione. Mazzarri, i suoi giocatori e i tifosi del Napoli erano convinti di poter impressionare e impaurire i bianconeri, e invece, dopo il fischio d’inizio, Buffon e compagni hanno gradualmente imbracciato le redini della partita, tanto che dopo dieci minuti, grazie a un prepotente colpo di testa di Tarzan-Chiellini, la Juve si è trovata in vantaggio. E nei venti minuti successivi, oltre a tenere costantemente sotto pressione difensori e centrocampisti napoletani, la squadra di Conte ha sfiorato due volte il raddoppio del probabile ko con Vucinic: prima un colpo di testa a incrociare, uscito di un metro a lato, con De Sanctis immobile e poi un fortuito intervento con il braccio dello stesso De Sanctis a deviare un tocco del montenegrino smarcato solo davanti al portiere da un passaggio di Vidal.
Nel primo tempo solo il gol al 43° minuto di Inler (peraltro agevolato da una spizzicata di Bonucci) ha consentito al Napoli di rialzare nei minuti finali la cresta (e i gomiti, vero Cavani?), ma la Juve non ha fatto una piega.
Poi nel secondo tempo, un po’ la paura del Napoli di scoprirsi troppo e di essere punito in contropiede dalla Juve, un po’ il fatto che i bianconeri (soprattutto Pirlo, Marchisio e Vidal) hanno cominciato a pensare alla sfida di ritorno con il Celtic, la partita è filata via meno intensa e solo con alcuni tiri da lontano, tutti neutralizzati da Buffon, il Napoli ha provato a far male. Ma la linea formata da Barzagli, Bonucci, Chiellini (grande rientro) e Peluso (in bella crescita) costituisce un Vallo Adriano non agevolmente scalabile o scalfibile.
Tutto questo, insomma, per dire che la Juve è forte in campo e fuori dal campo, che la Juve, quando vuole, c’è, eccome. E’ in grado di reggere ogni urto, anche quello smanioso della seconda in classifica; è in grado, quando vuole, di far male in tanti modi e con diversi giocatori; è in grado, quando vuole, di gestire la partita, decidendo quando accelerare, quando rallentare o addirittura quando frenare e quando ripartire improvvisa.
Rispetto all’anno scorso la squadra di Conte si è fatta meno garibaldina, non è più il Settimo Cavalleggeri che suona la carica attaccando a testa bassa. No, oggi la squadra è più matura, assomiglia piuttosto a un reparto di Navy Seals (nervi saldi, colpi rapidi e letali, padronanza del teatro delle operazioni), anche se si concede ancora troppe pericolose pause e smemoratezze. Ecco perché a far perdere alla Juve lo scudetto può essere solo la Juve.