Nella quarta puntata della nostra carrellata, altri dieci film “consigliati” da vedere o rivedere. Cominciamo con il thriller d’autore L’uomo nell’ombra, diretto da Roman Polanski di cui negli ultimi mesi si è parlato per le vicende processuali riemerse dal suo passato (tanto che il registam che era agli arresti domiciliari in Svizzera, no ha potuto accompagnare il film al festival di Berlino e nelle varie uscite internazionali). Dal libro The Ghost writer di Robert Harris, e come questo pieno di allusioni a Tony Blair e alle sue vicende (soprattutto all’asse con gli Usa per la guerra in Irak), è un film teso e cupo, come i migliori film di Polanski. Ewan Mc Gregor è il “ghost writer” (lo scrittore ombra, che scrive i discorsi per un uomo politico) assunto da una casa editrice per redigere le memorie dell’ex premier britannico Adam Lang, un tempo di grande popolarità ma ormai caduto in disgrazia dopo la guerra in Irak a causa della debolezza nei confronti degli Stati Uniti dove si è trasferito.
Ma l’aspetto politico lascia posto al giallo, che prende le mosse dalla morte sospetta del ghost writer precedente… Per il giovane scrittore è dura non farsi irretire nella ragnatela di segreti, misteri e pericoli.
È in fondo, anche se molto sui generis, un “mistery” anche il curioso An Education: film inglese, tratto da un romanzo di Nick Hornby, diretto da una regista danese Lone Scherfig (che anni fa sorprese con la bella commedia Italiano per principianti), racconta la travagliata educazione alla vita adulta di una sedicenne nella “swinging” Londra degli anni 60. Il sogno di una formazione culturale negata ai genitori e quindi di accedere alla prestigiosa università di Oxford cede il passo al desiderio di una vita tutta agi, ricchezze e divertimenti, a causa dell’infatuazione di un trentenne affascinante e furbo.
La ragazza (interpretata dalla giovane ma bravissima Carey Mulligan, nomination all’Oscar per questa prova) viene infatti sedotta dai modi affabili di David, che ama l’arte come i viaggi a Parigi e il lusso. Che sa ingraziarsi anche il rigido padre di lei e che nasconde qualche segreto di troppo… Storia di fallimenti (amorosi, educativi, scolastici) però positiva perché propone una grande verità: non si può imparare dai propri errori senza chiedere aiuto.
Britannico è anche il melodramma in costume Bright Star di Jane Campion, storia della passione amorosa – nell’Inghilterra del primo 800 – tra il poeta John Keats e la giovane vicina di casa Fanny Browne. Una storia che rischiava il clichè, se non altro per la figura rischiosissima del poeta romantico, spiantato e malato (oltre tutto nei confini angusti del film in parte biografico, in cui si può inventare fino a un certo punto).
Invece la Campion, che si avvicina ai suoi film migliori (Lezioni di piano, Ritratto di signora), racconta con sincerità e pudore l’incontro tra due giovani cuori che cercano l’amore e la bellezza, la sofferenza per gli ostacoli e per le differenze sociali. E affascina per l’uso sapiente delle parole – i dialoghi amorosi, la poesia di Keats – e delle immagini, in un melange profondo e mai eccessivamente sentimentalistico, che guarda con rispetto alla lotta anche ingenua in difesa di un amore vero e puro.
Cambiamo completamente genere con Vendicami, mix tra action movie asiatico e noir francese firmato dal regista di Hong Kong Johnnie To. È infatti anche un omaggio a Jean-Pierre Melville e ai suoi polizieschi, tanto che il protagonista si chiama Costello come un “eroe” di Melville e non a caso ha la faccia piena di rughe del francese Johny Hallyday. Il suo Costello è un killer ormai in “pensione”, che torna a sparare per vendicare la figlia gravemente ferita e i suoi marito e figli massacrati. Per questo arriva a Hong Kong e, senza conoscere nessuno, con pazienza cerca di dipanare la matassa. Alleandosi ad altri killer e districandosi tra omicidi e trappole. Soprattutto combattendo contro la progressiva perdita della memoria, causata da una vecchia pallottola che ha in testa. C’è tanta violenza, ma anche ironia e senso dell’onore. E qualità da grande cinema, che guarda a tanti maestri (anche al nostro Sergio Leone) ma sa rimanere originale. Non per tutti, ma godibilissimo.
E la violenza è anche un elemento centrale di un film francese ed etnico al tempo stesso come Il profeta di Jacques Audiard. Gran Prix al Festival di Cannes 2009, quest’anno a un passo dall’Oscar per il miglior film straniero, è un “romanzo criminale” di formazione, duro e tagliente che racconta. È infatti l’educazione al crimine di un giovane maghrebino che vediamo sullo schermo, che all’inizio del film entra in carcere analfabeta e sprovveduto e, dopo una lunga gavetta fatta di rischi, alleanze, umiliazioni e crimini che entrano nella pelle, ne esce leader. Realismo, attori poco noti in Italia ma giganteschi (il protagonista Tahar Rahim, il capo dei Corsi Niels Arestrup), in un’opera che rinnova il genere carcerario con una narrazione contemporanea. E che regala un finale aperto: l’uscita dal carcere è l’inizio di un nuovo dominio o una nuova strada da percorrere ?
È la storia di un criminale anche Nemico pubblico di Michael Mann (Collateral, Heat, L’ultimo dei mohicani), uno dei migliori registi americani. Si racconta infatti la vita e le “opere” di John Dillinger, il rapinatore più pericoloso d’America ricercato senza sosta dall’FBI negli anni ’30. Lo stile è ricercato e un po’ freddo, rispetto ad altri film di Mann (forse anche per l’uso del digitale). Ma il duello infinito tra Dillinger, che ha il sorriso beffardo di Johnny Depp, e l’agente che gli dà la caccia (il sempre bravo Christian Bale, l’ultimo Batman) ha toni quasi epici. Dillinger va incontro al suo destino, senza tirarsi indietro, come un antieroe da western di una volta.
È invece un eroe di tutto un popolo il Nelson Mandela raccontato da Clint Eastwood in Invictus. Film inferiore ai suoi recenti capolavori (Gran Torino, Changeling, Mystic river) ma epico e umile nel raccontare una storia grande e importante – la vittoria della squadra di rugby del Sudafrica ai campionati del mondo del 1995, fortemente voluta da Mandela come strada per l’unità di un popolo diviso tra bianchi e neri – nascondendosi la sua regia e mettendola al servizio della narrazione.
Per Eastwood Mandela è un Invictus, non sconfitto da 27 anni di prigionia e leader di un popolo che ama e che lo ama. Un amore che conquisterà anche gli ex “nemici” bianchi. Una bella storia, tra l’altro, che si può far vedere a ragazzi e giovani senza problemi, e non è poco.
Stesso discorso per un film edificante, in senso non stucchevole, come il messicano Bella. Piccolo grande caso negli Usa, dove divenne un simbolo della lotta contro l’aborto, in Italia è circolato – pochissimo – dopo alcuni anni, è praticamente un film ancora inedito. Josè, ex promessa del calcio la cui vita è travolta da un incidente in cui ha ucciso un bambino, vive tormentato da sensi di colpa. L’incontro con Nina, ragazza incinta che vuole abortire, cambierà la vita a entrambi.
È un altro incontro, molto particolare, quello al centro del film di animazione Dragon Trainer: ovvero, tra un adolescente vichingo troppo imbranato per diventare un guerriero – e gravato dal severo giudizio del padre – e un drago pericolosissimo, ma ferito. E più simile di lui di quanto possa sembrare. Tra mille avventure – è un film con molta azione, in 3D è spettacolare come Avatar – e peripezie, il giovane Hic si farà forza di quella strana “amicizia” per maturare e mettere pace tra le rispettive specie. Divertente, emozionante e intelligente: da far vedere a bambini (non troppo piccoli, per via di alcuni momenti “paurosi” e delle immagini troppo frenetiche per loro) e ragazzi.
E finiamo con un altro film per tutta la famiglia: il poco apprezzato (da noi, in Francia è stato un gran successo) Il piccolo Nicolas e i suoi genitori. Tratto da una serie a fumetti francese, è la storia di un bambino di otto anni, dei suoi divertentissimi amici, dei suoi goffi genitori e delle sue paure. Su tutte, che arrivi un fratellino in casa. Ambientata negli anni 50, la commedia è forse troppo “demodè” per i gusti attuali, però colpisce la tenerezza nel raccontare il mondo dei bambini. E, superata l’eventuale diffidenza iniziale, il divertimento è assicurato.
(4 – continua)