A parole in Italia sembrano tutti difensori del mercato, della concorrenza, della libertà di iniziativa, del confronto aperto a tutto vantaggio della qualità dei prodotti e del vantaggio per i consumatori. A parole. Perché sul fronte dei comportamenti concreti la difesa della confortevole protezione del monopolio o delle barriere all’ingresso unisce i tassisti ai farmacisti, i notai ai concessionari delle autostrade, i proprietari di reti televisive così come di linee ferroviarie.
“Il mercato è bello, ma il monopolio è molto più comodo”: potrebbe essere questo il motto dell’operatore economico (imprenditore o sindacalista che sia) e da questo risultano comportamenti e soprattutto decisioni politiche che troppo spesso vanno nella direzione opposta della valorizzazione del merito, della qualità, dell’affidabilità concreta. Non a caso il libro di Alberto Pera e Marco Cecchini che analizza i primi 25 anni di vita dell’Autorità Antitrust in Italia ha per titolo La rivoluzione incompiuta (Fazi editore, 288 pagg. 19,50 euro). Alberto Pera, avvocato ed economista, è stato il primo segretario generale dell’Autorità; Marco Cecchini, economista e giornalista, è stato, tra l’altro, inviato al Corriere della Sera e capo ufficio stampa del ministero dell’Economia. Due autorevoli osservatori quindi che tratteggiano gli snodi principali delle problematiche del mercato nell’ottica dell’esperienza dei cinque presidenti che si sono susseguiti alla guida dell’istituzione: Saja, Amato, Tesauro, Catricalà e Pitruzzella, quest’ultimo attualmente in carica.
Vi è da sottolineare che il compito dell’Autorità Antitrust è sicuramente vasto e va dal giudizio sulle grandi concentrazioni finanziarie o industriali alla lotta quotidiana contro la pubblicità ingannevole. E tutti i presidenti si sono trovati di fronte a quello che Pera e Cecchini chiamano “un sentiero accidentato, pieno di ostacoli: resistenze culturali, opposizioni corporative e lobbistiche, interferenze politiche, tendenze collusive, ostilità verso le profonde riforme nella regolazione e nelle istituzioni del mercato che sarebbero necessarie”.
Nonostante questo l’Italia ha fatto sicuramente dei passi in avanti grazie ad alcune positive liberalizzazioni: pensiamo al mercato telefonico e quello dell’energia. Ma ha ancora una significativa arretratezza soprattutto per l’ancora forte coinvolgimento dello Stato nel sistema economico: basti pensare al sistema delle licenze commerciali, alla regolazione dei trasporti, ai servizi professionali rigidamente difesi da ordini, come quello dei giornalisti, spesso anacronistici.
Quello che emerge in fondo è il fatto che l’Italia continua ad essere il Paese dei mille, pur piccoli, privilegi. E tutti cercano di difendere i propri e per questo accettano nello stesso tempo di difendere anche quelli degli altri. La rivoluzione incompiuta è quindi soprattutto una rivoluzione culturale che dovrebbe partire dall’alto, dalla politica, per arrivare a coinvolgere le convinzioni e le scelte dei cittadini.
Ma la politica in Italia sembra ormai il regno del paradosso: i governi di centro-destra sono stati i più strenui difensori della presenza dello Stato nell’economia, mentre si ricordano ancora come le più significative, le liberalizzazioni del centro-sinistra con Bersani al ministero dell’Industria. Ma lo statalismo resta in fondo una malattia trasversale in tutti i partiti, così come è trasversale in tutta la società.