Un fantasma si aggira per l’Italia: è quello di un politico chiamato Silvio Berlusconi. Il quale ieri, a margine del processo Mills in corso a Milano, ha detto di non volersi sbilanciare sulla situazione perché «oggi la politica non c’è». Invece c’è, ed è curioso che un ex presidente del consiglio sulla breccia da 18 anni liquidi in questo modo una fase che potrebbe rivelarsi molto pericolosa per lui e il partito che guida.
A che gioco gioca il Cavaliere? Le scuole di pensiero sono numerose, e già questa molteplicità non contribuisce certo a fare chiarezza. La prima è quella dei «continuisti», secondo i quali il governo Monti si muove sulla scia di quanto aveva anticipato l’esecutivo Berlusconi. Lo stesso premier attuale, ieri, ha riconosciuto che gli obiettivi fondamentali di finanza pubblica (tra cui il rientro del rapporto tra debito e Pil entro i parametri europei) erano stati fissati dal Cavaliere e apprezzati dai partner Ue, a partire dalla cancelliera Merkel. Secondo i «continuisti», l’appoggio del Pdl al professore della Bocconi è pieno e convinto.
Esistono poi i «sospettosi». Essi non sottovalutano affatto la distanza critica che il Cavaliere frappone con chi gli è succeduto. Sempre ieri Berlusconi ha detto di non riuscire a ipotizzare né quanto durerà né quale successo avrà il governo Monti, e questo non è certo un tipo di appoggio entusiasta. Molti, anche nel Pdl, sospettano che Silvio voglia tenere il piede in due staffe: sostenere Palazzo Chigi per mancanza di alternativa aspettando il momento buono per staccare la spina e capitalizzare il massiccio scontento popolare per le drastiche misure anticrisi. Un Berlusconi bifronte come Giano, e quindi ancora enigmatico.
C’è una terza categoria di interpreti del Berlusconi-pensiero. Si tratta dei «disillusi», coloro che sono convinti che l’ambiguità dell’ex premier non sia legata a una strategia politica, ma al fatto che egli sia sotto scacco, cioè obbligato ad appoggiare Monti pena una serie di conseguenze negative «ad personam». Due in particolare, una sul fronte giudiziario (processo Mills) l’altra su quello imprenditoriale (frequenze tv).
È indubbio che la pressione delle procure sul Cavaliere si sia allentata dopo la sua uscita da Palazzo Chigi, e non è da escludere che egli abbia posto l’ammorbidimento dei magistrati come condizione per lasciare; ma Berlusconi non ha l’assoluzione in tasca, dunque è costretto a non agitare troppo le acque. D’altra parte, Monti ha congelato l’assegnazione delle frequenze tv per 90 giorni: una mossa astuta, che tiene sulla corda Silvio (oltre che Mediaset, società quotata). Il quale, scaduti i tre mesi di sospensione, non potrebbe più rovesciare il tavolo per anticipare il voto (non ci sarebbero i tempi per elezioni entro l’estate) e avrebbe le mani legate anche in autunno, quando comincerà il «semestre bianco» durante il quale il capo dello stato – in scadenza di mandato – non può più sciogliere le Camere.
Infine, si affacciano i «disfattisti». Sono coloro che in questo complesso risiko non dimenticano la variabile Lega. Ieri, smentendo le rassicurazioni berlusconiane, Bossi ha ribadito quanto detto domenica alla manifestazione di Milano: o il Cavaliere fa cadere Monti a Roma, o il Carroccio fa cadere Formigoni in una regione Lombardia «piena di inquisiti». In entrambi i casi, il Pdl incasserebbe una pesante sconfitta. Che per Berlusconi potrebbe tradursi nel preludio all’abbandono definitivo del proscenio politico.