Siamo curiosi di conoscere come finirà la vicenda del taglio del finanziamento pubblico ai Patronati promossi dai sindacati e dalle altre associazioni. Anche quest’anno nel disegno di legge di stabilità sono previsti tagli significativi. Può essere, poi, che, come avvenne per l’anno in corso, durante l’iter legislativo si varino alcuni emendamenti che “riducano il danno”. Il fatto singolare è che nessuno parli di questo problema, neppure le Confederazioni che di tali istituzioni sono soggetti promotori.
Si tratta del comma 11 dell’articolo 33 del disegno di legge di stabilità per il 2016: una norma diretta a conseguire economie di carattere strutturale mediante la riduzione dell’aliquota da 0,207% a 0,183% da applicare ai contributi incassati dagli enti previdenziali per determinare, così, le somme da trasferire ai Patronati sindacali. Mentre l’applicazione dell’aliquota previgente (0,207%) darebbe luogo a un versamento agli istituti di circa 410 milioni su base annua, con la nuova aliquota ridotta si otterrebbe un’economia di 48 milioni di euro annui. Ma non basta. Poiché la rideterminazione dell’aliquota opererebbe sui contributi incassati dal 2015 per l’esercizio 2016, l’economia rispettivamente di 48 milioni di euro sarebbe ottenuta mediante una riduzione dei trasferimenti ai Patronati, a titolo di acconto.
In estrema sintesi, se approvata, la disposizione proposta contiene tre novità: a) la decurtazione di 48 milioni del fondo Patronato con effetto sul fondo stesso per il 2015, a decorrere dall’anno 2016; b) l’abbattimento dell’aliquota con effetto sul fondo patronato 2016 a decorrere dall’anno 2017 dallo 0,207% allo 0,183%; c) la diminuzione dell’acconto dal 72% al 60% con effetto dal 2017. Tale intervento segue quello dello scorso anno, con il quale si è provveduto alla decurtazione di 35 milioni del fondo Patronato con effetto sul fondo 2014 ed erogato a decorrere dall’anno 2015; all’abbattimento dell’aliquota con effetto sul fondo patronato 2015 a decorrere dall’anno 2016 dallo 0,226% allo 0,207%; alla diminuzione dell’acconto dal 80% al 72% a partire dall’anno 2016.
L’effetto combinato delle due norme comporterebbe una diminuzione dell’aliquota di finanziamento del fondo patronato da 0,226% al 0,183%, con una riduzione nel biennio di quasi il 20%, nonché la riduzione di 83 milioni di euro dell’apposito fondo. Secondo i Patronati, queste operazioni comporterebbero un presumibile esubero di personale per l’intero “sistema patronato” di 2.370 operatori.
Che dire, allora? Il taglio ai Patronati è forse un segnale che il Governo Renzi vuole mandare al sindacato, minacciando di ridimensionarne le risorse economiche? Certo, in pochi anni l’atteggiamento dei Governi nei confronti di queste istituzioni parasindacali è mutato, e di parecchio. Basti pensare che la legge 30 marzo 2001 n. 152 innovò la disciplina previgente (di cui al dlgs c.p.s. 29 luglio 1947 n.804) in modo assai favorevole ai Patronati sindacali.
Non solo venne sciolto esplicitamente il nodo interpretativo sancendo, all’articolo 1, che gli Istituti di patronato sono “persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità” nel quadro di una più compiuta attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 18, 31, secondo comma, 32, 35 e 38 della Costituzione, ma tale interpretazione era stata autorevolmente avallata dalla Corte Costituzionale quando nel 2000 dichiarò inammissibile un quesito referendario che proponeva sostanzialmente l’abolizione dei Patronati. Alla base della sua pronuncia la Consulta aveva evocato, infatti, il diritto alla tutela previdenziale sancito dall’articolo 38 della Carta fondamentale, la cui realizzazione avveniva anche attraverso l’esercizio delle funzioni attribuite ai Patronati.
Gli aspetti più importanti, tuttavia, erano quelli di carattere finanziario. A decorrere dal 2001, il finanziamento pubblico ai Patronati (ripartito secondo criteri ragguagliati all’attività svolta e ai servizi erogati) era costituito dall’applicazione dell’aliquota dello 0,226% sul gettito dei contributi obbligatori incassati dai maggiori enti previdenziali. La stabilizzazione di tale aliquota aveva determinato un costante aumento delle risorse destinate, dal momento che la base imponibile – ovvero il monte retributivo – è, per sua natura, in evoluzione.