È sicuramente il canto del cigno – almeno in questa legislatura – del ministro Sacconi. Ma il titolare del welfare ha voluto mettere in tavola tutte le carte prima di fare fagotto. E ha presentato una bozza di legge delega contenente lo Statuto dei lavori, un provvedimento Araba Fenicie di cui si parla da anni senza che nessuno si sia mai misurato fino in fondo con i problemi – anche di tecnica legislativa – da risolvere, che possono essere così riassunti.
Da quarant’anni è in vigore lo Statuto dei lavoratori: una legge storica che ha consentito l’effettivo ingresso nelle fabbriche dei diritti fondamentali della persona sanciti nella Costituzione, anche attraverso la promozione della presenza sindacale in azienda. Una legge che, tuttavia, trova oggi applicazione per una parte limitata del mondo del lavoro. Al lavoro stabile e per un’intera carriera si contrappongono oggi sempre più frequenti transizioni occupazionali e professionali che richiedono tutele più adeguate.
I mutamenti del mondo del lavoro implicano l’insorgere di esigenze che spiazzano un sistema di tutele ingessato – perché fatto di norme rigide sulla carta quanto ineffettive e poco adattabili alla mutevole realtà del lavoro – suggerendo l’introduzione di assetti regolatori maggiormente duttili e la definizione di diritti universali e di tutele di matrice promozionale, che non è mai stato possibile impostare a causa delle resistenze della Cgil, della sinistra e di gran parte della cultura giuridica.
D’altro canto, la linea dell’estensione tout court dei diritti sanciti dalla legge n. 300 del 1970, per tener conto di un mercato del lavoro che si è concentrato in larga maggioranza nella piccola impresa, sarebbe stato un disastro per l’economia (già oggi il nanismo della nostra struttura produttiva è causato dall’esigenza delle imprese di stare al di sotto dei limiti connessi all’applicazione dello Statuto dei lavoratori), al punto che gli italiani se ne resero conto quando, nel bel mezzo della “guerra civile” sulla revisione dell’articolo 18, fecero fallire il referendum che voleva estenderne l’applicazione a tutti i lavoratori.
Uno Statuto rigido, ancorato ai modelli e alle logiche di un passato che non c’è più, tradirebbe la sua funzione storica che è ancora oggi pienamente attuale: quella cioè di approntare, al di là delle tecniche e delle norme di dettaglio di volta in volta adottate, un sistema di tutele moderne e mobili tali da consentire il pieno sviluppo della persona attraverso il lavoro e nel lavoro. I tempi per discutere lo Statuto dei lavori sono dunque maturi, dal momento che l’attuale sistema normativo del diritto del lavoro non soddisfa pienamente nessuna delle due parti del contratto di lavoro. Non i lavoratori che, nel complesso, si sentono oggi più insicuri e precari. Né gli imprenditori ritengono il quadro legale e contrattuale dei rapporti di lavoro coerente con la sfida competitiva imposta dalla globalizzazione e dai nuovi mercati.
La flessibilità regolatoria è la principale caratteristica del testo presentato da Sacconi. Ed è probabilmente la chiave di volta che potrà consentire al provvedimento di diventare finalmente legge, se il quadro politico non finirà per soffocarlo nella culla. Il testo non ha la pretesa di rinchiudere il mondo del lavoro – dominato dalle differenze – in una gabbia di regole uniformi. Si propone, invece, di affermare uno zoccolo di diritti universali e inderogabili per tutte le tipologie di lavoro “economicamente” alle dipendenze e di attribuire, nel contempo, alle parti sociali la possibilità di adattare le norme alle situazioni di fatto, laddove comunemente se ne ravvisi la necessità in nome di un interesse reale dei lavoratori e delle imprese.
La delega di cui all’articolo 1 del testo, che dovrà essere esercitata in conformità agli obblighi derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro, si propone, in primo luogo, la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale con l’obiettivo di ridurre almeno del 50% la normativa attualmente vigente frutto di una stratificazione disorganica. Ciò potrà avvenire anche mediante abrogazione delle normative risalenti nel tempo prevedendo altresì, ove opportuno, un nuovo regime di sanzioni civili, penali e amministrative.
La semplificazione del quadro legale vigente potrà essere perseguita anche attraverso la valorizzazione delle sanzioni di tipo premiale, in modo da tenere conto della natura sostanziale o formale della singola violazione anche attraverso l’utilizzazione di strumenti che favoriscano la regolarizzazione e l’eliminazione degli effetti della condotta illecita da parte dei soggetti destinatari dei provvedimenti amministrativi.
Avviata la razionalizzazione e semplificazione del quadro legale, la delega si propone di identificare nell’ambito della legislazione vigente, che viene dunque confermata, un nucleo di diritti universali e indisponibili, di rilevanza costituzionale e coerenti con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, applicabili a tutti i rapporti di lavoro dipendente e alle collaborazioni a progetto rese in regime di sostanziale mono-committenza.
Le tutele non ricomprese nel nucleo dei diritti universali potranno essere eventualmente rimodulate e adattate, anche in chiave promozionale, alle reciproche esigenze di lavoratori e imprese attraverso un rinvio permanente alla contrattazione collettiva per la definizione di assetti di tutele variabili a livello territoriale, settoriale o aziendale anche in deroga alle norme di legge, valorizzando altresì, mediante norme promozionali e di sostegno, il ruolo e le funzioni degli organismi bilaterali.
La rimodulazione delle tutele da parte della contrattazione collettiva potrà avvenire attraverso il riferimento ad alcuni indicatori dinamici come l’andamento economico dell’impresa, del territorio o del settore di riferimento con particolare riguardo alle situazioni di crisi aziendale e occupazionale, all’avvio di nuove attività, alla realizzazione di significativi investimenti e ai più generali obiettivi di incremento della competitività e di emersione del lavoro nero e irregolare.
Potranno altresì essere prese in considerazione le caratteristiche e la tipologia del datore di lavoro e dello stesso lavoratore con specifico riferimento all’anzianità continuativa di servizio, alla professionalità o all’appartenenza a gruppi svantaggiati ai sensi della regolamentazione comunitaria di riferimento. Specifiche modulazioni potranno essere previste anche per i contratti a contenuto formativo o di inserimento o reinserimento al lavoro, nonché in ragione delle concrete modalità di esecuzione dell’attività lavorativa con particolare riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative rese a favore di un unico committente.
Quanto alle tutele sul mercato l’articolo 1 del disegno di legge – preso favorevolmente atto delle deleghe in materia di razionalizzazione degli ammortizzatori esistenti contenute nel “collegato lavoro” – dispone l’estensione (su base volontaria od obbligatoria e mediante contribuzioni corrispondenti alle prestazioni) degli ammortizzatori sociali e contempla interventi di politica attiva del lavoro coerenti con le linee guida e i principi concordati tra Governo, Regioni e parti sociali nell’accordo del 17 febbraio 2010, con particolare riferimento alla valorizzazione di percorsi formativi per competenze e in ambiente produttivo, certificabili in funzione degli esiti e programmati in coerenza con i fabbisogni professionali espressi a livello settoriale e territoriale.
In un’ottica di sussidiarietà e di maggior coinvolgimento delle parti sociali, il disegno di legge prevede infine che tali principi potranno essere integrati da un avviso comune reso al Governo da associazioni rappresentative dei datori e prestatori di lavoro su scala nazionale entro nove mesi dalla entrata in vigore della legge.
L’articolo 2 del disegno di legge contiene alcune disposizioni di ordine tecnico concernenti l’esercizio della delega di cui all’articolo 1. Gli schemi dei decreti legislativi, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da un’apposita relazione, saranno trasmessi alle Camere, per l’espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari, solo una volta sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro.
È una grande sfida culturale destinata ad incontrare molti nemici. Già sono iniziate le critiche dei soliti settori della sinistra politica e sindacale contro il testo. Per ottenere ascolto non si sottraggono neppure alla menzogna, ma agitano, al solito, il drappo rosso dell’articolo 18 nella speranza di tornare ai tempi di Sergio Cofferati.