Con tutta la densità espressiva di un “tweet”, Matteo Renzi, dopo aver lasciato che Repubblica – giornale molto amico del governo, e per la firma del capo del “politico” (capisc’ammè) – lanciasse il “balon d’essai” della banda ultralarga ri-nazionalizzata schierando in campo l’Enel in alternativa alla riottosa Telecom, ha così commentato: “La banda ultralarga è un obiettivo strategico ma non tocca al governo fare piani industriali; porteremo il futuro presto e ovunque”. Larga è la banda, stretta è la via, dite la vostra che ho detto la mia. Senza spiegare un tubo.
Largo agli esegeti, se non alla banda: è confermato o smentito che l’Enel gestirà i 5,5 miliardi di investimenti pubblici nella banda ultralarga che saranno, dunque, diversi da quelli che eventualmente Telecom intanto dovesse riuscire a investire? Che significa “non tocca al governo fare piani industriali” e subito dopo aggiungere “porteremo il futuro presto e ovunque”? Lo porteranno senza piani industriali ma solo con piani strategici, visto che “la banda ultralarga è un obiettivo strategico”?
È palese ed evidente che il tweet è senza senso. Ma volutamente, ci mancherebbe: si può dire tutto, di Renzi, ma non che non sappia mandare dei tweet. L’Enel non commenta in alcun modo. E la Consob, fresca reduce dai trionfi dell’assemblea annuale a Milano, anziché ritenere opportuno chiedere all’Enel se l’indiscrezione sull’uso della bazzecola di 5,5 miliardi in un settore diverso dal core-business sia vera o falsa, sobriamente si allinea al pensiero unico di palazzo Chigi e consente all’Enel di accettare il diktat del governo di non comunicare alcunché: non confermare e non smentire, un po’ di suspense ai piccoli azionisti gliela vogliamo lasciare o no?
La verità è che l’idea di affidare all’Enel tanti soldi pubblici e per questo scopo è quanto di più balzano possa esserci. Chiariamo un possibile equivoco di fondo: l’Enel è un gruppo industriale di prim’ordine, che sarebbe capacissimo di gestire bene quei soldi. L’aveva capito molto bene l’ex amministratore delegato Franco Tatò, quindici anni fa – un bravissimo manager ed anche un visionario – ideando la strategia della cosiddetta “multi-utility”, cioè la gestione integrata di vari diversi tipi di servizi ai cittadini: luce, gas, acqua e, appunto, telefonia. Non glielo lasciarono fare, anzi quasi lo mandarono via per questo (anche se a mandarlo via fu Berlusconi, che non si preoccupò di cercare pretesti).
Ma fin qui non ci sarebbe nulla di scandaloso: la storia dell’industria è piena di “corsi e ricorsi” strategici, e questo dato di fatto meriterebbe di essere ricordato più spesso, prima di commettere l’ingenuità di applaudire senza riserve l’ultima rivoluzione del manager del momento come se fosse quella novità che non è mai. Il problema è un altro. Se il governo decide di investire 5,5 miliardi di euro per realizzare una rete telefonica in banda ultralarga in Italia e di affidare i lavori all’Enel, non può farlo senza una gara europea: Enel è un’azienda quotata in Borsa, con la maggior parte del capitale circolante in mani straniere, figuriamoci se è possibile che calpesti le regole dei lavori pubblici Ue. Possono anche fare una legge “ad hoc”, ma tra Bruxelles e Tar, e Consigli di Stato e Corti Costituzionali varie avrebbe vita brevissima.
Peraltro, se lo Stato affida tanti lavori a un “general contractor” che controlla, come l’Enel, non può farlo senza che l’Enel ci guadagni, o ci possa guadagnare. E qui – direbbe Totò – casca l’asino. Cioè: se l’Enel, per conto dello Stato, è in grado di guadagnare gestendo quei lavori, perché non li fa Telecom, senza prenderli dallo Stato, magari, bensì dalle banche, visto che il debito storicamente fortissimo è calato e che il lavoro sembra destinato a essere lucroso? O è lucroso, allora ben venga anche Telecom, o non lo è, e allora perché dovrebbe farlo l’Enel?
La verità è che Renzi aveva seriamente pensato di convincere – innamorato di sé com’è – Telecom Italia a mettere la propria rete in rame e fibra a disposizione del sistema in una combinazione con gli altri operatori che le togliesse l’attuale monopolio di fatto, ma Telecom ha risposto picche. Il governo potrebbe fare una legge d’esproprio, identificando un prezzo congruo per comprare la rete Telecom attraverso un ampio concorso di valutatori indipendenti, esattamente come venne fatto quando la rete del gas venne “scippata” a un recalcitrante Eni che però venne alla fine convinto, anzi gratificato, dalla corresponsione di un signor prezzo… Ma non ha avuto la volontà politica e il coraggio internazionale di lanciare un simile segnale “statalista”: cosa avrebbe mai detto Davide Serra, che ne avrebbe pensato Andrea Guerra, come avrebbe commentato Yoram Gutgeld, e tutto il caravanserraglio di iper-liberisti chissà perché prestati a un governo di sinistra che compongono oggi il codazzo si Renzi? Meglio non rischiare.
E quindi, ecco il coniglio dal cilindro: la banda ultralarga la faccio fare all’Enel. E così, magari, domani Telecom si mette a produrre energia elettrica. Ma mi faccia il piacere, avrebbe detto sempre Totò.