Ieri gli ambasciatori di tutti i 28 paesi dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo sulle sanzioni economiche contro la Russia a causa della guerra in Ucraina e dopo gli ultimi fatti di cronaca. La guerra in Ucraina, lontanissima nell’immaginario collettivo, e le tensioni crescenti tra Russia e Stati Uniti oltre a essere una questione di politica internazionale cominciano seriamente a impattare anche le imprese e l’economia. Ieri, per esempio, Bp, che possiede quasi il 20% di Rosneft, avvertiva che gli utili avrebbero potuto risentire delle sanzioni, mentre le azioni di Pegueot, che controlla il principale produttore auto russo, scendevano per i timori delle possibili conseguenze di ulteriori sanzioni. L’elenco però è decisamente più lungo e variegato dalla banca austriaca Raffeisen fino a McDonald’s.
Comprensibilmente al centro dell’attenzione sono finite le società più grandi e con una considerevole esposizione al mercato russo (possedere il 20% di Rosneft non aiuta sicuramente), ma le decisioni prese ieri potrebbero avere conseguenze molto concrete in tempi brevi sull’economia e le imprese di molti paesi.
L’Italia rientra sicuramente in questa categoria; nonostante l’economia sia in pauroso declino, con imprese e banche che gettano la spugna senza che nessuno si ponga il problema di uno Stato e una burocrazia che uccidono la parte più produttiva e vitale del Paese, l’Italia è ancora oggi e nonostante tutto uno dei principali partner commerciali della Russia. La notizia della cancellazione della collaborazione tra Italia, via Fincantieri, e Russia per lo sviluppo di un sommergibile di nuova generazione in seguito al deterioramento delle relazioni politiche avrebbe dovuto quantomeno far accendere un campanello d’allarme.
La Russia negli ultimi anni è stata un ottimo mercato per le imprese estere sia per la crescita della sua economia, che ha beneficiato di un prezzo del petrolio alto, sia per la stabilità del contesto politico, normativo e regolamentare. La constatazione prescinde da qualsiasi valutazione sulla bontà o meno dell’attuale contesto politico russo. Gli investitori esteri cercano innanzitutto crescita e stabilità delle regole; condizioni che la Russia ha offerto stabilmente negli ultimi anni.
Le imprese italiane presenti sul mercato russo hanno beneficiato di queste condizioni che hanno permesso di controbilanciare l’andamento negativo del mercato domestico. La Russia è importante sicuramente per il settore del lusso e della moda, ma si possono citare altri settori come quello delle costruzioni, dei servizi all’industria chimica e petrolifera, della meccanica fino al turismo. Le conseguenze non si limitano alle vendite future ma anche ai progetti in corso che, come minimo, potrebbero subire ritardi oppure venire assegnati a società di paesi meno ostili.
Secondo una ricerca della Banca d’Italia, nel 2013 il nostro è stato il secondo esportatore tra i paesi Ue verso la Federazione russa, mentre la Russia è stato il principale mercato per le esportazioni italiane fra i Paesi Brics; l’Italia infine sarebbe il quinto fornitore e il quarto cliente della Russia. Questi dati rendono bene la dimensione del problema posto dalle sanzioni all’economia italiana.
È impossibile non citare poi il tema energetico, dato che il 30% del gas consumato in Italia viene dalla Russia e che sostituire una quantità così rilevante nell’attuale e complicato contesto politico internazionale non è semplice. Oltre a questo occorre aggiungere che l’Italia non è l’unico cliente interessato al gas russo e che deve affrontare la competizione di clienti/concorrenti sempre più attrezzati, in primis la Cina, che non avrebbero nessun limite dalle sanzioni.
La guerra in Ucraina e le sanzioni possono diventare un pessimo affare per l’economia italiana molto più di quanto non lo siano per la maggioranza degli altri paesi europei. Il tema meriterebbe di scalare molte posizioni nell’agenda politica italiana.