Sembrerebbe un buon momento per Silvio Berlusconi. La Cassazione che smonta il teorema di Dell’Utri mafioso e il processo Mills che va in prescrizione. Le Dandini e le Costamagna che sbattono il faccino ostinandosi a cavalcare l’antiberlusconismo in tv. Il governo tecnico che – dopo la battaglia allo spread – mostra tutta la sua debolezza quando deve affrontare qualche dossier squisitamente politico (dalla Rai ai rapporti diplomatici). Il Pdl che mostra qualche segnale di ripresa benché Alfano fatichi a esibire il «quid».
Eppure nel centrodestra il momento resta delicato. Il nodo giustizia, prima di tutto. È vero, Berlusconi ha buon gioco nel denunciare il linciaggio morale cui è stato sottoposto Marcello Dell’Utri e il doppiopesismo di gran parte della sinistra, che invitava a rispettare le sentenze quando erano di suo gradimento mentre ora contesta aspramente l’annullamento disposto dalla Cassazione per il senatore e la caduta in prescrizione del processo Mills. Tuttavia la repentina inversione di tendenza non è un buon segnale. C’è stato davvero un accanimento giudiziario contro il Cavaliere? Se sì, come mai viene a galla soltanto ora che egli ha fatto un passo indietro? Ed è frutto di un ravvedimento delle toghe, di un’autentica volontà di fare giustizia, o piuttosto di un preciso accordo politico, di un salvacondotto concordato ai massimi livelli istituzionali?
Questa seconda ipotesi è quella preferita, per esempio, dalla Lega di Umberto Bossi. E qui veniamo al secondo nodo. Quello che sembrava un asse di ferro tra Pdl e Carroccio ormai è ridotto in pezzi. «Berlusconi mi fa pena», ha detto ieri il Senatùr. Non naviga in acque tranquille nemmeno Bossi, con un’indagine per corruzione a carico di uno dei suoi uomini forti in Regione Lombardia. Certo, fra due mesi si vota per un certo numero di sindaci in varie parti d’Italia e ogni partito sceglie la propria strategia. Ma i toni scelti dalle camicie verdi non lasciano intravedere margini di riavvicinamento al Popolo delle libertà.
Non è un bel segnale per il centrodestra. Il rapporto preferenziale con la Lega è durato 10 anni, dal 2001 al 2011, rivelandosi la vera spina dorsale dei governi Berlusconi, più resistente delle alleanze (finite) con Casini e Fini. La parabola politica del Cavaliere ha questa costante: aver perso per strada, uno dopo l’altro, tutti gli alleati. Si tratta ora di capire dove andare e con chi fare il prossimo tratto di strada. Perché da solo Berlusconi non va da nessuna parte: non poteva permetterselo quando le urne nel 2008 regalarono al Pdl il 37,4% dei voti, tantomeno è in grado di farlo ora che i sondaggi lo collocano sotto il 25.
Non si intravede ancora una strategia per il centrodestra. Tagliati i ponti (almeno per il momento, perché in politica mai dire mai) con la Lega, le alternative sono prolungare la «grande coalizione» che sostiene il governo Monti oppure stringere con i centristi replicando il modello Ppe. Non sono chiare le intenzioni di Berlusconi, ma nemmeno quelle di Angelino Alfano. Che soffre sempre più l’ingombrante ma ineliminabile presenza dell’ex premier: ieri Berlusconi non si è fatto vedere alla chiusura della Scuola di formazione politica di Orvieto per non fare ombra al delfino. Schermaglie, gelosie personali.
Finché i partiti – tutti – navigheranno in queste incertezze, il futuro del governo Monti è assicurato.