Angelino Alfano ci contava ancora: «Spero che dalla Lega – ha detto ieri mattina prima di incontrare i coordinatori provinciali lombardi del Pdl – arrivino segnali di apertura». Si riferiva alla riunione della segreteria politica del Carroccio in programma ieri pomeriggio in via Bellerio. Umberto Bossi e i suoi dovevano dire l’ultima parola sulle alleanze alle elezioni amministrative. «Sarebbe un errore consegnare il Nord alla sinistra – è l’opinione del segretario pidiellino -. Speriamo che Bossi possa fare delle deroghe. Noi siamo disponibili ad andare all’apparentamento. E sarà la Lega a decidere dove».
Mano tesa, anzi braccia spalancate alla Lega. Ma non è un gesto misericordioso, quanto disperato. Il 6-7 maggio il Pdl rischia di andare a sbattere e Alfano ne è pienamente consapevole. Sono centinaia i comuni al voto in cui i due partiti escono da cinque anni di governo assieme, e dove gli elettori sarebbero pronti a confermare per un altro lustro l’asse Pdl-Lega. Ma con l’avvento del tecnogoverno Monti i destini si sono separati. «Noi scontiamo la mancanza di un’alleanza», ammette Alfano, il che non succede a sinistra (peraltro alle prese con altissime tensioni interne per la riforma del lavoro). Così, ieri il segretario del Pdl ha fatto appello «ai cittadini chiedendo un riscontro per una scelta che segnala il nostro amore per l’Italia».
Non c’è soltanto un «caso Verona» per il Pdl, una cui parte consistente sta franando verso l’alleanza con Tosi. È in tutto il nord Italia che la «responsabilità» dimostrata dai berlusconiani nell’accordo con Terzo polo e Pd potrebbe costare carissima. L’ancora di salvezza poteva giungere soltanto da via Bellerio: deroghe al diktat di evitare ovunque legami con liste pidielline. L’escamotage poteva essere quello di formare liste civiche orientate al centrodestra ma non troppo connotate. Togliere il simbolo del partito sarebbe stato un sacrificio dolorosissimo per Alfano, che va alla prima prova elettorale da segretario del partito. Ma sarebbe forse peggio presentare liste perdenti in partenza, con candidati in difficoltà addirittura a centrare un obiettivo minimo come il ballottaggio.
Sull’alternativa tra liste civiche e simbolo di partito si era consumata qualche settimana fa una polemica tra Berlusconi e Alfano soffocata a fatica. Il Cavaliere avrebbe puntato direttamente alla prima soluzione, mimetizzando la sua stessa creatura ma allo stesso tempo annacquando l’eventuale sconfitta. Gli esperimenti sarebbero poi serviti a capire se e in che modo pilotare il Pdl verso un cambiamento da molti auspicato. Ma Alfano non ha voluto ammainare la bandiera della nave che è chiamato a guidare.
Così siamo al paradosso che nascono liste come Forza Lecco e Forza Verona (o come si chiameranno) di pidiellini mascherati da civici in appoggio alla Lega, e il Cavaliere non sembra vederle di cattivo occhio: dietro Forza Lecco c’è l’ex ministro Michela Vittoria Brambilla, una pasdaran di Silvio. Viceversa, Alfano sospende dal partito gli iscritti veronesi al Pdl che si candideranno a fianco di Tosi.
Restava in sospeso il caso di Monza, dove il sindaco uscente (il leghista Marco Mariani) non gode della popolarità del collega di Verona e si presenta indebolito al voto. Un accordo con il Pdl avrebbe fatto comodo a tutti: al candidato in cerca di riconferma immediata e al vacillante partito di Alfano. Ma ieri pomeriggio il quartiere generale padano ha definitivamente sbattuto la porta in faccia agli ex alleati. La Lega ha confermato la corsa solitaria anche a Monza, o meglio possibilità di apparentarsi con liste civiche ma chiusura a liste di partito. E la palla torna ad Alfano: sottomettersi e cancellare la presenza del Pdl in tanti comuni, oppure sfidare il Carroccio a costo di rimediare una raffica di sconfitte. In ogni caso, si gioca di rimessa ed è la Lega a dettare condizioni.