«Contro Gelmini e Marchionne uniti nella lotta!». È la novità degli ultimi giorni: gli studenti anti-Gelmini marciano con la Fiom anti-Marchionne. E insieme chiedono lo sciopero “generale” e “generalizzato”.
È molto triste tutto ciò, ma conferma la confusione di due movimenti che nulla hanno da spartire con coloro che pretendono di rappresentare. I giovani avrebbero tutto da guadagnare, per il loro futuro, da un sistema industriale solido e competitivo, in grado di assicurare posti di lavoro qualificati e veri, alle condizioni che il mercato globalizzato impone.
E avrebbero pure interesse a completare i loro processi formativi in Atenei che tengano conto anche delle esigenze degli studenti e non solo di quelli del personale docente. La riforma Gelmini non compie certo dei miracoli, ma prefigura un’organizzazione delle Università migliore di quella attuale.
A prova del fatto che il movimento degli studenti si muove in una prospettiva di conservazione sta la ricerca di un’alleanza con la Fiom, il sindacato che pretende di fermare la storia e di difendere dei diritti perfetti all’interno di fabbriche chiuse o trasferite all’estero. Il trait d’union è, al solito, la lotta al precariato, inteso come destino irreversibile dei giovani. Ne deriva che Mirafiori va difesa come ultimo baluardo della stabilità e dei contratti a tempo indeterminato (e se la fabbrica dovesse chiudere che cosa se ne farebbero di questa stabilità virtuale e teorica ?).
Ma lasciamo al loro destino questi movimenti, sia pure con il rimpianto di dover osservare che i giovani pretendono sempre di sbagliare in proprio (e di non tener conto degli errori consumati dai loro padri) e che una grande e gloriosa organizzazione sindacale è caduta nelle mani di una setta di visionari. Non riusciamo a capacitarci, però, di una rappresentazione della realtà sindacale (a cui concorrono anche i media) inaccettabile e disonesta, come se grandi organizzazioni cariche di storia e di prestigio, con milioni di lavoratori iscritti, fossero state colte dal virus dell’itterizia, al punto da diventare “sindacati gialli”.
Questa sorte ingrata non coinvolge solo la Cisl e la Uil, ormai oggetto di provocazioni e aggressioni quotidiane e destinatari di insulti gratuiti. Anche le altre federazioni di categoria della stessa Cgil si sono trasformate in “figlie di un dio minore”, guardate con sospetto perché non hanno mai smesso di fare accordi con le controparti, comprese delle intese del tutto simili a quelle di Pomigliano e Mirafiori.
Persino Susanna Camusso ha dovuto subire, a Bologna, una contestazione perché non pronunciava le parole magiche “sciopero generale”. Siamo arrivati al paradosso per cui la politica della Cgil è prigioniera della Fiom, benché la mozione Epifani-Camusso abbia vinto il congresso con l’80% dei suffragi contro la mozione sostenuta dalla Fiom e dalla Funzione pubblica. Persino la richiesta della “firma tecnica” dell’accordo di Mirafiori, in conseguenza del prevalere del sì nel referendum, è finita in cavalleria, dopo aver constatato che il no ha ottenuto il 46% (il classico modo di scambiare le sconfitte per fulgide vittorie).
Maurizio Landini e compagni non capiscono che – quand’anche la Cgil li assecondasse e proclamasse l’ennesima astensione dal lavoro in assoluta solitudine – il giorno dopo tutto tornerebbe come prima, salvo il danno arrecato a un’economia tuttora fragile e a buste paga più leggere?