Al di là delle dichiarazioni ufficiali e pubbliche, è chiaro che gli attacchi del ministro della Cultura Giancarlo Galan su Il Giornale contro Giulio Tremonti sono un modo di tarpare le ali al fortissimo ministro del Tesoro. La sua colpa non piccola è quella di dettare legge a tutti gli altri ministeri con la scusa dei conti da rimettere in ordine per la crisi economica.
Gli attacchi sono rientrati e la pace sembra ufficialmente fatta e tutto sembra sia stato solo una tempesta in un bicchier d’acqua. Forse però non è così, anzi, Ostellino su Il Corriere della Sera di qualche giorno fa diceva che la vicenda non è chiusa perché mostra una spaccatura profonda nella maggioranza. Il 28 poi Il Giornale tornava contro Tremonti sostenendo che questi aizza la Lega contro Berlusconi.
Certo, non è chiusa, anche perché c’è in ballo uno scossone profondo che coinvolge praticamente tutti i vertici dell’economia italiana, con la prossima partenza di Mario Draghi dalla Banca centrale italiana a quella europea in un paio di mesi.
L’attacco a Tremonti arriva poco dopo che l’ex potentissimo Cesare Geronzi è stato scacciato dalla quasi onnipotente assicurazioni Generali con l’appoggio, dicono i giornali italiani, di Tremonti e la distrazione di Berlusconi. Anche lì non si sa se la distrazione fosse vera o falsa, certamente la vicenda Generali toglieva dal campo l’unico pezzo di potere economico che poteva fare da contrappeso a Tremonti, per cui Berlusconi si poteva sentire accerchiato nelle leve sostanziali dell’Italia, la grande finanza.
Berlusconi sembra voglia fare il vuoto intorno a sé di poteri veri e vari dell’economia (quello che fa girare il Paese) e di un vecchio mondo. Se questo servisse a rinnovare tutta la classe dirigente nazionale potrebbe essere anche un bene, un secondo grande ripulisti dopo il primo dovuto a Mani Pulite agli inizi degli anni ‘90. Se però volesse sostituire i Geronzi e i Tremonti con maggiordomi, lacché, o peggio, sarebbe un disastro.
In fondo questo era il dramma vero della Cina di Mao ai tempi della rivoluzione culturale. Il grande timoniere era insoddisfatto, a ragione o a torto, della classe dirigente cinese, la sua, quella che aveva scelto dopo avere preso il potere, e la voleva rinnovare. Mao così eliminò la vecchia classe dirigente, ma fece il vuoto intorno scegliendo come sostituti gente incapace che tra l’altro, alla faccia dell’egalitarismo rivoluzionario, prese alloggio in ville esclusive tra lussi sconosciuti alla maggioranza della popolazione.
Berlusconi è preso dalla stessa febbre di Mao di mangiarsi i propri figli o alleati e sostituirli con valletti e vallette? Oppure è solo la crudele logica della politica applicata al suo livello più crudo, stalinista: il potere deve essere il maggiore possibile e accettare meno sfide e limitazioni possibili? Comunque il messaggio al mondo che si manda è terrificante, al di là di simpatie o antipatie per Tremonti, valutazioni di merito o meno per il suo ministero.
Galan sosteneva che Tremonti è colpevole di avere compiuto una stretta sulla spesa, ma tutti sanno (forse esclusi quelli che non sanno leggere e scrivere o non vogliono sapere) che certe misure di Tremonti sono state necessarie per salvare l’Italia dalla crisi che l’avrebbe travolta peggio di uno tsunami. Inoltre, tali misure sono state prese in pieno accordo con partner europei e americani.
Quindi di cosa stava parlando Il Giornale? Che l’Italia avrebbe dovuto lanciarsi in un attacco lancia in resta contro il resto del mondo e sfidare da sola e debolissima una crisi che ha travolto la prima potenza globale, l’America?
Visto da lontano e certo ignoranti delle questioni italiane, l’attacco è di quelli davvero straordinari. Tremonti ha il merito di avere tenuto in Italia, e quindi, secondo Il Giornale, era colpevole di averlo fatto, di avere tenuto in Italia: dopo essersi mangiati la frittata si accusa il cuoco di avere rotto le uova. L’accusa, rientrata o meno, illustra un problema profondo: la mancanza di una comune percezione del bene comune all’interno della stessa maggioranza, non tra maggioranza e opposizione che pure sarebbe auspicabile per il bene del Paese, saltano tutti i criteri di giudizio. Non si distingue il bianco dal nero e l’unico confronto rimane quello della guerra, del puro scontro di forza degli scandali incrociati, il ricorso a polizia e magistratura o la rincorsa al più basso istinto dell’ultimo elettore.
Certo, era un attacco a fini elettoralistici, diranno i filo Galan, facendo l’occhiolino a chi gli stava dietro. Ma pur così si mostra ai lettori un’incoerenza interna: è giusto o non è giusto avere una politica finanziaria rigorosa? Le spese vanno allargate o meno? Su questi temi sostanziali un governo non dovrebbe mandare segnali a intermittenza una volta sì, una volta no e poi di nuovo sì, perché saltano tutti i criteri di giudizio, salta la credibilità e affidabilità del governo e salta il sistema dei valori sociali.
Con Tremonti e Galan entrambi al potere oggi non si sa in Italia cosa è un merito e cosa un demerito, come base di stabilire poi una politica anche di potere. Qui si ritorna al premier. Il merito non può essere scodinzolare davanti al capo, perché da sempre questo è inutile, se non dannoso, al capo. Ma è il sistema di valori che è saltato e di fronte a questo salto c’è indifferenza, come se i protagonisti della vicenda Galan, Tremonti, Berlusconi e i capi dell’economia italiana fossero polli in un cortile, come se le loro polemiche fossero indifferenti e non trascinassero invece dietro di sé un tessuto profondo dell’Italia.
Se Berlusconi poi vuole rinnovare ancora una volta l’Italia come fece quando scese in campo, lo faccia, ottimo, ma dica cosa vuole fare, un suo sistema di valori coerente, e poi presenti gli uomini che ritiene adatti alla bisogna. Senza questi due passi tutto somiglia alla Rivoluzione culturale degli ultimi anni di Mao, un periodo malato per la Cina e per l’uomo che pure sembrava un astro intramontabile dello stato.
Mao allora distrusse il sistema di valori cinese: prima aveva distrutto il sistema confuciano per imporre il suo, maoista, dopo di lui la Cina non credette più a niente né al confucianesimo, né al maoismo. È questo anche il destino dell’Italia dopo l’ultimo Berlusconi? Berlusconi o Tremonti o chiunque per loro per vincere davvero deve pensare a un’unità di sistema di valori su cui poi possa giudicare l’operato dei ministri, senza di questo è solo il caos, l’arbitrio, il selvaggio uso della forza.