Ci sono due modi di guardare alle proposte di Massimo D’Alema e della sua Fondazione Italianieuropei. La prima è quella di fermarsi alla forma. E la forma è: proposta di legge elettorale alla tedesca, un proporzionale insomma con soglia di sbarramento. Ovvio che la risposta del Popolo della libertà sia negativa. Vorrebbe dire garantire la nascita di un terzo polo con possibilità o addirittura la certezza (in assenza di premio di maggioranza per il partito con la maggioranza relativa) di garantire al centro il ruolo di ago della bilancia. Sarebbe la fine del bipolarismo e il ritorno a quelle maggioranze mobili che somigliano molto alla palude.
C’è però un altro dato da considerare, ed è sostanziale. D’Alema è l’unico esponente forte della sinistra che abbia un’idea della politica come paragone di ideali e proposte, senza demonizzazioni reciproche. Consapevole che il primo avversario, sia suo sia di Berlusconi, non è questo o quel partito seduto in Parlamento, ma un partito esterno, quello dei pm, che ha forti alleati internazionali e cerca servi alla Camera e al Senato ahimè trovandoli. Per questo oggi la questione non è tanto di negare o bizantineggiare su una legge elettorale, quanto di capire in che momento siamo. Quello di una grande alleanza sulle riforme che non sono soltanto elettorali ma di sistema, che lasci intatto il gioco di maggioranza e opposizione quanto al governo della cosa pubblica.
Non c’è bisogno di essere cultori delle raffinatezze o delle grossolanità della politica per capire come l’intervento di Veltroni al convegno di D’Alema non sia stato tanto contro Berlusconi o la maggioranza, quanto contro il suo avversario interno, il leader Maximo, colpevole anche solo di pensare a riforme da discutere con il Popolo della libertà o la Lega.
Parlando dal punto di vista tecnico, non credo alla supremazia delle leggi elettorali nel determinare o meno il bipolarismo, quanto la cultura e la volontà politica dei leader, la loro lealtà verso i loro elettori e quelli degli altri. Insomma: non sono le regole a essere decisive per la moralità della politica, quasi fossero navigatori automatici che gestiscono il bene del popolo a prescindere dalla libertà. Guai se fossero i meccanismi a essere la stella polare del bene comune. Per questo è importante saper discutere con D’Alema, non buttar via le sue elaborazioni con sufficienza: perché la prima proposta di D’Alema non è questo o quel sistema di raccolta del consenso, ma la volontà stessa di porgere proposte oltre il recinto.