È di ieri la pubblicazione da parte dell’Istat del periodico rapporto sull’andamento dell’economia italiana. Emerge così che, nel quarto trimestre del 2015, il Prodotto interno lordo, ovviamente destagionalizzato, sia cresciuto solamente dello 0,1% su base congiunturale e dell’1% in termini tendenziali, confermando la tendenza, ahimè già registrata nel corso dello scorso anno, a un progressivo rallentamento della, già debole, crescita congiunturale.
Nel quarto trimestre 2015, in particolare, i consumi sono aumentati dello 0,3% su base congiunturale, sebbene in lieve rallentamento rispetto a quanto stimato per il periodo precedente (+0,4%), contribuendo per 3 decimi di punto percentuale all’espansione del Pil.
Se poi l’analisi va più nel dettaglio, si deve osservare una, più generale, dinamica in decelerazione per la spesa delle famiglie (+0,3% da +0,5% nel terzo trimestre) e un rafforzamento di quella delle amministrazioni pubbliche (+0,6% nel quarto trimestre da +0,2% nel terzo). In tutto il 2015, quindi, si registra che la spesa delle famiglie è aumentata dello 0,8% rispetto all’anno precedente, fornendo un significativo contributo (+0,5 punti percentuali) all’espansione del Pil nazionale.
Allo stesso tempo, tuttavia, il nostro istituto di statistica sottolinea come, dopo il lieve recupero avvenuto in gennaio, il clima di fiducia dei consumatori sia diminuito di circa ben 4 punti a febbraio.
Tutto ciò premesso è certamente utile indagare come questo quadro d’insieme influisca sul nostro mercato del lavoro. A gennaio, infatti, l’occupazione è tornata a crescere di 3 decimi di punto (+70 mila occupati), dopo il calo registrato a dicembre 2015 (-0,2%). L’incremento registrato, è opportuno sottolinearlo ancora una volta, si deve interamente ai lavoratori dipendenti (+0,4%), in particolare a quelli a tempo indeterminato “a tutele crescenti” (+0,7%, pari a +99 mila individui), a fronte di un calo dei dipendenti a termine (-1,2%, -28 mila occupati) e a una sostanziale stabilità degli autonomi.
Andamenti, questi, coerenti con le tendenze già osservate nel quarto trimestre del 2015. Il tasso di disoccupazione, in particolare, è rimasto sostanzialmente invariato dal mese di settembre dello scorso anno e a gennaio 2016 è stato pari a 11,5%.
Nonostante, inoltre, le abbondanti dosi di ottimismo immesse nel mercato dal palazzo Chigi, l’Istat non può che segnalare come a febbraio le aspettative degli imprenditori sull’evoluzione dell’occupazione, per i prossimi tre mesi non siano ancora troppo incoraggianti. Se, infatti, le attese continuano a peggiorare lievemente nel settore manifatturiero e nei servizi, queste migliorano nelle costruzioni e nel commercio. L’Italia, insomma, non è ancora ripartita e la tanto attesa “svoltabuona”, nonostante il Jobs Act, tarda a manifestarsi.
L’occupazione, insomma, non si crea né con gli inviti all’ottimismo via Twitter, né per decreto, ma con la capacità del sistema-Paese, e del suo sistema produttivo, di immaginarsi tra 20-30 anni e con la voglia di accettare, se non addirittura anticipare, le grandi sfide che un futuro, sempre più globale, inevitabilmente ci porrà.