Le cronache di palazzo riferiscono la crescente inquietudine di Matteo Renzi per raggiungere una missione (quasi) impossibile: elezioni anticipate in primavera. Dopo le vacanze a cinque stelle (nel senso di hotel in Val Gardena), il segretario del Pd le sta pensando tutte per accelerare i tempi della riforma elettorale. Pare voglia impegnare il Parlamento già dalla prossima settimana, senza attendere la sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum. Quel sistema ormai va considerato morto prima della nascita, sconfitto dal referendum senza mai essere stato applicato.
Il problema di Renzi è trovare una maggioranza. Perché l’ex premier si era sbilanciato sul Mattarellum confidando che il nome del capo dello stato gli portasse bene, ma mezzo partito è in rivolta. Le simulazioni di voto fatte dal professor D’Alimonte, il tecnico di sistemi elettorali che aveva disegnato e difeso strenuamente l’Italicum e ora si lambicca il cervello a caccia dell’alternativa, mostrano che nel Sud i collegi uninominali finirebbero in tasca a Grillo e nel Nord al centrodestra, sempre che Berlusconi e Salvini-Meloni trovassero un accordo.
Ma Matteo è testardo, è convinto che davanti all’alternativa tra lui e il M5s gli italiani non sceglierebbero i grillini, soprattutto ora che molte loro contraddizioni vengono alla luce, come il cerchiobottismo sugli avvisi di garanzia e sulle intercettazioni, per non parlare del comune di Roma dove le indagini della magistratura potrebbero svelare che nella giunta Raggi c’è del marcio e non solo il vuoto pneumatico, com’era evidente fino a ora.
La cocciutaggine però va a sbattere contro la realtà: a chi interessa davvero il Mattarellum? Molti di più, nel Pd e non solo, sono i sostenitori di un ritorno al proporzionale con un piccolo premio. È vero che questo sistema non garantisce l’uscita di una maggioranza granitica dalle urne; d’altra parte nella seconda repubblica — a parte due dei quattro governi Berlusconi e l’ultimo Renzi — con Porcellum e Mattarellum molti esecutivi sono durati 12 mesi o poco più: Letta, Dini, Monti, Amato, D’Alema; lo stesso Prodi con i suoi due governi è andato avanti un paio d’anni.
Proporzionale significa andare dritti a larghe intese tra Pd e centristi, ovvero Berlusconi. E il Cav non vede male questa prospettiva, tutt’altro, come dimostra il riavvicinamento a Stefano Parisi e la presa di distanza dalla Lega. Il pendolo di Silvio continua, non si può escludere che l’ottuagenario leader di Forza Italia possa cambiare idea ancora, ma l’ipotesi di fare l’ago della bilancia non gli dispiace affatto.
E non dispiace nemmeno all’uomo che — a dispetto di Renzi — ha il potere di decidere sulle elezioni anticipate, cioè il presidente Mattarella. Il Colle non solo non ha fretta, ma teme come la peste la possibilità che il governo finisca in mano ai grillini. Per questo prende tempo. Il segretario del Pd ha bisogno di una pausa e a Palazzo Chigi c’è una figura che può consentire ai democratici di non identificarsi più soltanto con l’arroganza dell’ex premier.
Renzi al partito e Gentiloni al governo, una figura meno divisiva, più diplomatica; uno che possa ricucire sia con l’Europa sia con i moderati e i centristi. Nel Pd questo schema sta prendendo piede anche tra gli alleati di Renzi (come i franceschiniani) e sembra non essere sgradito nemmeno dalle parti di Mattarella e da quelle di Berlusconi. Resta da vedere se reggerà al fuoco di sbarramento di Lega e 5 Stelle, che bolleranno come “inciucio” quello che dovrebbe essere presentato come un atto di responsabilità.