I giocatori
L’attuale situazione nel Caucaso è stata definita da qualcuno come una drammatica partita a scacchi. Tuttavia, negli scacchi si gioca in due, mentre qui i giocatori sono numerosi e il tutto assomiglia piuttosto a una partita di poker. Purtroppo, perché il poker ha in sé una buona dose di azzardo e di bluff, di destabilizzazione psicologica degli avversari e privilegia la tattica piuttosto che la strategia.
Inoltre, si gioca su due piani: le carte che si hanno realmente in mano e le carte che si riesce a far credere all’avversario di avere, essendo le seconde spesso più importanti delle prime.
Partiamo dai contendenti. Sul terreno del conflitto ne abbiamo tre, la Georgia, la Russia, le due repubbliche separatiste; nell’immediato retroscena altri due, Stati Uniti e Unione Europea, sullo sfondo l’Islam e, pronta ad entrare in scena, la Cina.
Un tentativo di bluff?
Chi ha aperto il gioco è stata la Georgia con una mossa a dir poco avventata, il suo attacco alla Ossezia del Sud, equiparabile ad un’apertura con neppure una copia in mano. Infatti, era inevitabile la reazione della Russia, si poteva solo discuterne l’entità, così come certo era il contrattacco dell’altra repubblica separatista, l’Abkhazia. Follia di Saakashvili, quindi? Ipotesi possibile, in cui va inclusa anche la speranza di un appoggio militare degli Usa, ma ve ne un’altra possibile, una sorta di bluff per far saltare il piatto.
Nonostante i ripetuti appelli al diritto internazionale e alla derivante integrità territoriale della Georgia, in tutte le Cancellerie si dava per accettata l’indipendenza de facto delle due repubbliche e la sovranità, anch’essa di fatto, della Russia su di esse. Il calcolo del presidente georgiano può essere stato proprio questo: far saltare questa situazione di comodo per tutti, ma non per la Georgia, e quindi sedersi al tavolo delle trattative come vittima costretta a cedere ciò che già non possedeva più, ponendo a sua volta il problema delle minoranze georgiane e di un congruo risarcimento per il sacrificio. Calcolo senza dubbio cinico, ma non necessariamente campato in aria. In questo gioco, in fondo, chi finirebbe per rimetterci sarebbero solo le vittime di questa breve, ma sporca guerra.
Tutto sommato, anche Cavour mandò le sue truppe a combattere, e morire, in Crimea solo per sedersi al tavolo dei vincitori ed è considerato un grande statista e vero padre della Patria. La stessa cosa fece Mussolini con l’attacco alla Francia, la famosa “pugnalata alle spalle”, ma in questo caso il bluff, molto più costoso, non ebbe successo.
Il rilancio russo
Gli Stati Uniti, o perché colti di sorpresa o perché consci del gioco in corso, non sono andati a vedere, ma la Russia sì e ha rilanciato, costringendo gli americani a rientrare in gioco. Un rilancio pesante, non limitato al riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche, ma che ha posto sul tavolo la minaccia di rivendicazioni per tutte le numerose minoranze russe sparse per il defunto impero sovietico. Il che ha immediatamente provocato reazioni da parte di Ucraina, Paesi Baltici e Polonia, con la rapida firma da parte di quest’ultima del trattato sullo scudo antimissile e la prossima installazione di batterie antimissili sul territorio polacco.
La posizione forse più esplicita, anche se con l’invito a trattative pacifiche, è stata presa in favore della minoranza russa in Moldavia, nel cosiddetto Transdniestr, proclamatosi indipendente nel 1990, dopo un breve conflitto armato, e che ospita truppe russe. Se Ossezia del Sud e Abkhasia sono contigue al territorio russo, la Transdniestria confina con l’Ucraina e rappresenta un braccio della possibile tenaglia russa, essendo l’altro la parte orientale russofila dell’Ucraina stessa.
L’Unione Europea ha per il momento detto parol, sperando che anche gli altri facessero la stessa dichiarazione, rinviando così la chiusura della mano. D’altro canto, era difficile dire qualcosa di più, date le divisioni e i diversi interessi, ma anche per il ruolo di mediatore l’unione fa la forza e questo
Continua a non sembrare il caso dell’Unione Europea. Tuttavia, potrebbe venire il momento in cui ci si dovrà schierare e allora saranno dolori, visto che già ora si parla di due Europe, una “nuova” interventista e una “vecchia” quanto meno attendista.
Attorno al tavolo
Il conflitto attuale, dal punto di vista delle appartenenze religiose, è tra ortodossi e ricalca una lunga storia di opposizioni tra la Russia e le altre nazioni del Caucaso. La vicina mina cecena, oltre che trasformare la Russia da protettrice a persecutrice di minoranze, porta in scena anche l’islam. Il terrorismo ceceno ha già fatto molte vittime nella regione e sul territorio russo: la strage di Beslan, avvenuta nel 2004 in una scuola di questo centro dell’Ossezia del Nord, è ancor ben presente nella memoria collettiva. I ceceni sono di religione musulmana e una saldatura, probabilmente già in corso, tra irredentismo e fondamentalismo islamico sarebbe un altro principio di incendio difficilmente domabile in una regione a predominanza musulmana, essendo Georgia e Armenia gli unici Stati indipendenti cristiani.
Anche la Cina sta aspettando, in quanto deve decidere qual è il vantaggio che può trarre dalla situazione, in cui gli aspetti da considerare sono molteplici. Anche la Cina ha i suoi ceceni, gli uiguri musulmani e deve difendersi contemporaneamente dalla lotta pacifica del Dalai Lama per il suo Tibet. Dall’altro lato, la Cina ha un bisogno formidabile di petrolio e quindi l’interesse ai giacimenti della regione potrebbe portarla a fiancheggiare la Russia. Magari, utilizzando la leva finanziaria come arma di pressione sugli Stati Uniti, del cui debito pubblico è forte detentrice.
Per il momento la Cina sta sostanzialmente alla finestra, forse anche perché si è resa conto che i vantaggi che potrebbe ricavare sono di ordine politico, ma che il protrarsi della crisi sarebbe disastrosa per tutti, giocatori e spettatori, sotto il profilo economico. Come in ogni partita di poker “serio”, occorre sapere fermarsi in tempo.