Il trattato con la Libia è stato definito un “accordo storico”, che mette fine a 40 anni di contenzioso con l’Italia: come risarcimento dei danni provocati dall’occupazione coloniale, il nostro paese si impegna ad investire in Libia cinque miliardi di dollari nei prossimi vent’anni. È senza dubbio positivo che i nostri soldi vadano in infrastrutture, con benefici per diverse nostre imprese, in borse di studio, con diffusione della nostra lingua e cultura, e per pensioni di invalidità per i mutilati a causa dei residui bellici. Per valutare l’equità dell’accordo, sarebbe interessante sapere quanto le altre potenze coloniali, Belgio, Francia, Inghilterra, Olanda, Portogallo, Spagna, anche Germania, hanno pagato come risarcimento alle loro ex colonie.
Anche per non trovarci impreparati, qualora la stessa richiesta ci venisse fatta da altri: Somalia, Eritrea o Etiopia. A dire il vero, sarebbe stato meglio includere nel conto anche quello che il dittatore libico si è già preso, a partire dalla confisca dei beni dei nostri connazionali espulsi. Dopo decenni di attesa, questa è l’occasione per risolvere la questione.
In cambio della ricostruzione della strada costiera (la vecchia “Balbia”, costruita a suo tempo dagli italiani) e degli altri investimenti, Gheddafi si impegna a sorvegliare le sue coste e a impedire il flusso di clandestini che parte dal suo paese. Costoro non sono però libici, vengono dall’interno dell’Africa e la Libia è solo un territorio di passaggio verso l’Italia: perché Gheddafi non li ha fermati prima? Per tenere l’Italia sotto ricatto? Se è così, la sua strategia ha avuto successo, ma lascia una questione aperta: cosa avverrà della massa di profughi che entra in Libia e finora tacitamente autorizzata a venire in Italia? Se Gheddafi la tenesse in casa, la questione potrebbe per lui diventare molto scomoda, fino a fargli richiudere almeno un occhio sulla ripresa dei viaggi verso l’Italia. Se li rispedisse ai loro paesi di origine, e questo potrebbe avvenire solo con la forza e non v’è dubbio che i libici la userebbero e senza tanti scrupoli, si aprirebbe una ulteriore tragedia cui noi italiani non potremmo rimanere indifferenti. Come dice Andrea Lavazza su Avvenire, le vittime del mare si trasformerebbero in vittime del deserto, già molto numerose peraltro.
C’è da sperare che il nostro governo abbia considerato tutti questi aspetti, predisponendo adeguati piani di intervento, economico, umanitario e politico, in particolare nei confronti dei paesi sub-sahariani, origine principale dell’emigrazione. Occorre stabilire accordi con questi paesi perché controllino la loro emigrazione clandestina, offrendo in cambio quote di emigrazione regolare verso l’Italia e aiuti e investimenti economici per creare posti di lavoro in loco. Il trattato Italia-Libia potrebbe così diventare l’inizio di un piano integrato di intervento politico, sociale ed economico in tutta questa area. Non solo quindi un programma di aiuti umanitari, ma un vero e proprio piano di sviluppo economico di quei paesi, che avrebbe peraltro notevoli ritorni positivi per il nostro paese.
Potrebbe essere inoltre il primo passo di una politica più generale verso l’Africa, iniziando dagli altri paesi già citati e al di fuori di una strumentale logica di risarcimento. La regione della defunta Africa Orientale Italiana è un’area estremamente problematica non solo sotto il profilo economico, ma anche politico: regimi autoritari o dittatoriali, conflitti etnici, guerre latenti e in atto, terrorismo. Le responsabilità storiche dell’Italia sono lì elevate e si estendono fino a tempi più recenti per quanto riguarda la tragedia della Somalia.
Qualcuno potrebbe dire che proprio questa tragica situazione dovrebbe suggerirci di starne fuori, ed è vero. Però poi si eviti di cercare ruoli e responsabilità internazionali, limitandoci a badare alle nostre cose e pensando solo a fare affari. Se invece vogliamo assumere le nostre responsabilità, il governo cerchi di trovare un accordo anche con parte dell’opposizione per un recupero significativo della nostra presenza in un continente così drammatico, ma così importante come l’Africa. L’accordo con la Libia può essere un buon inizio, se applicato seriamente e senza furbizie. Pacta sunt servanda, ma il punto è quanto Gheddafi abbia dimestichezza con il latino, o se per lui è parlar arabo.