Ci sono almeno due osservazioni semplici semplici che si possono fare sulla giornata borsistica di ieri. La prima si commenta solo per dovere di cronaca, perché in realtà non ci sarebbe molto di significativo da aggiungere: Mediaset ha reagito alla fiducia del governo con un rialzo del 3%. Lo sottolineiamo solo per completezza; aggiungere una spiegazione sarebbe quasi un’offesa all’intelligenza di chi legge. Potremmo aggiungere che Mediaset sta affrontando tantissimi altri problemi che non c’entrano nulla con la tenuta del governo e che hanno guidato le quotazioni delle ultime settimane, ma sarebbe decisamente materiale per un altro articolo.
La seconda è che dopo l’annuncio della fiducia alla Camera per il Governo Berlusconi, il mercato italiano è passato da leggermente negativo a positivo, allineandosi alla performance degli altri mercati europei; lo spread Btp/Bund, invece, è rimasto fermo a 166 punti base dopo la notizia del voto.
Un cambio di governo in corsa non piace in generale, per motivi più che comprensibili, a chiunque nel mondo stia investendo in Italia, o come azionista di società quotate o come impresa che produce, vende e investe. La prima condizione che gli investitori in beni reali o finanziari (ma c’è differenza?) pongono è che le regole del gioco vengano definite chiaramente all’inizio e non cambino in corsa; il rischio di impresa è più che sufficiente per un Paese che vuole competere nel mondo delle economie sviluppate, senza che ci si metta il rischio paese. Chi decide di correre il rischio Paese solitamente punta a tassi di crescita da economia in via di sviluppo.
Siccome i problemi che solo due settimane fa avevano fatto sembrare non solo possibile ma perfino imminente la fine dell’euro sono rimasti lì dov’erano, immaginare l’Italia impegnata a difendersi da attacchi speculativi o molto più semplicemente a sopravvivere in contesto di tassi in rialzo in piena campagna elettorale sarebbe stato troppo anche per il più ottimista degli investitori.
Per quanto il risultato di ieri non elimini le preoccupazioni sulla stabilità del governo, quanto meno dovrebbe preludere alla ricerca di una soluzione più ponderata. L’idea forte è che il grado di incertezza sul futuro con il voto di ieri è in un certo senso diminuito; dal punto di vista economico-finanziario si è passati da una situazione in cui il giorno dopo era un punto di domanda totale a una in cui si leggerà piano piano sui giornali l’evolversi della situazione sapendo almeno di che morte morire con un certo grado di anticipo.
Ieri, questo straccio di “certezza” è bastato, a quanto pare, al mercato in un contesto in cui, per la verità, da qualche settimana non si registrano scossoni o timori sul debito. C’è almeno un altro dato di cui bisogna tenere conto; nella storia dei mercati finanziari del 2010 i fatti di ieri e dell’ultimo mese sono stati preceduti da tanti altri fatti. Il mercato italiano da inizio anno perde l’11%, quello tedesco guadagna il 18%, quello inglese il 9%, mentre quello francese è invariato rispetto alla fine del 2009. Il mercato italiano sta già scontando una penalizzazione di quasi il 30% rispetto ai nostri più temibili vicini. In questa penalizzazione che gli investitori ci hanno dato ci sono sicuramente molti fattori: l’elevato debito, la minore competitività del sistema e sicuramente anche l’incertezza politica degli ultimi mesi.
Gli investitori hanno già penalizzato l’Italia e in un certo senso il danno è già stato fatto. Il mercato sta già scontando l’incertezza politica e quindi in una certa misura (ma non completamente) anche le sue conseguenze. Questo è il motivo per cui, probabilmente, ieri la reazione è stata tutto sommato contenuta. Possiamo scegliere tra due ipotesi: potremmo perfino spingerci a dire che i mercati in realtà non avessero scommesso su una fine cruenta del governo oppure, il che è molto peggio, che abbiano da tempo perso la speranza e che stiano aspettando solo i titoli di coda. In questo secondo scenario non importa più di tanto cosa succeda perché comunque vada sarà un insuccesso; l’insuccesso è aver dato l’impressione di ballare sul Titanic in una situazione di estrema gravità, in cui “quelli seri” erano invece impegnati a risolvere i problemi.
La nota lieta è che sia che si creda al primo scenario o al secondo, in questo momento esiste la possibilità di stupire positivamente i mercati e i nostri attentissimi osservatori. Ci sono due finali finanziari alternativi: in uno siamo quelli che hanno solo scherzato, ma che in ultima analisi e nonostante tutto si dimostrano affidabili e affrontano responsabilmente la situazione; nell’altro siamo i primi che fanno di tutto per non tirarsi fuori dai guai. Ognuno pensi alle proprie, povere o ricche, finanze e scelga in quale dei due mondi preferirebbe vivere quando, e questa invece è una certezza, là fuori le cose per l’Italia, e non solo, saranno di nuovo terribilmente difficili.