Il solco è stato aperto il 23 giugno dell’anno scorso con il referendum che ha sancito, pur se di stretta misura, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Per come sono andate le cose non è azzardato affermare che la maggioranza è stata raggiunta grazie al fatto che una parte cospicua degli elettori abbia votato “leave” a propria insaputa, cioè senza conoscere la reale portata della scelta e magari contando sul fatto che i sondaggi della vigilia davano quasi per scontato la vittoria del “remain”. Ha fatto premio il richiamo alla sovranità da riconquistare, alle frontiere da difendere, all’immigrazione da controllare. E questo anche se la Gran Bretagna ha sempre conservato il controllo dei propri confini, dato che non ha aderito all’accordo di Schengen, e la propria indipendenza sul fronte valutario mantenendo la sterlina e tutte le prerogative di politica monetaria della banca centrale.
Comunque di fronte a una crisi economica che sembra interminabile, anche se molto spesso enfatizzata dai media e dai politici in cerca di consenso, e di fronte all’incapacità degli stessi politici di offrire soluzioni innovative e coerenza di comportamenti, si fa strada un’ondata di protesta che si condensa nei movimenti cosiddetti populisti. Dopo la Brexit è peraltro arrivata la vittoria di Donald Trump, un chiaro segno di protesta verso la politica del presidente uscente (così come un segno di protesta è stato l’esito del referendum italiano del 4 dicembre). Anche Trump ha usato come cavalli di battaglia le promesse di innalzare nuovi muri, in particolare con il Messico, di introdurre forti limiti all’immigrazione, di imporre nuovi dazi alle importazioni, di mettere al primo posto gli interessi nazionali limitando gli impegni di solidarietà, come quelli per esempio del Patto Atlantico.
L’esempio di Trump è diventato un modello anche per molti movimenti europei. In Francia la candidata alla presidenza Marine Le Pen ha già promesso che in caso di vittoria Parigi dirà addio alla Nato, all’Unione europea e all’euro. Un parallelismo paradossale: sarebbe come se la California (38 milioni di abitanti) decidesse di uscire dagli Stati Uniti (320 milioni di abitanti).
Le sirene dalla sovranità da riconquistare cantano tuttavia a voce sempre più alta e con consenso crescente, anche se il fondamento delle loro melodie appare sempre più basato sulla consistenza dei miraggi e sulla dimensione delle illusioni. Un’Europa di Stati-nazione sarebbe più povera, più indifesa, più incapace di affrontare le sfide. Siamo di fronte a “un movimento sempre più diffuso che rivendica l’isolamento, il protezionismo e l’autarchia in un’epoca in cui isolamento, protezionismo e autarchia non sono più possibili. E non solo negli Stati Uniti”. Sono queste le parole conclusive del libro di Manlio Graziano (“Frontiere”, ed. Il Mulino, pagg. 170, euro 13), un libro che non solo raccoglie in una sintetica panoramica storica le vicende che a livello globale hanno interessato i confini, ma smonta puntualmente tutti i luoghi comuni e i pregiudizi diffusi ad arte nelle campagne elettorali e non solo.
L’esempio più eclatante è proprio quello della frontiera tra Stati Uniti e Messico: basti pensare che tra il 2009 e il 2014 le cifre ufficiali parlano di un milione di messicani che hanno lasciato gli Stati Uniti e di 870mila che vi sono entrati. Negli ultimi anni il flusso dei migranti si è chiaramente invertito, ma nonostante questo un sondaggio pre-elettorale indicava che il 68% degli americani era favorevole a costruire una barriera lungo la frontiera e Trump ha cavalcato questa tendenza.
E poi imporre dazi sulle merci importate o svalutare la propria moneta vuol dire causare maggiori costi ai consumatori, dato che molti prodotti di largo consumo (dall’abbigliamento all’elettronica) sono ormai di provenienza “globale”, e nello stesso tempo impoverire le industrie che lavorano per l’estero che vedrebbero ridotti i propri ricavi. Un doppio effetto negativo che non scuote tuttavia i cantori del ritorno alla lira orgogliosi della cortina di fumo della sovranità da riconquistare.
Forse sarebbe il momento di ripensare al concetto di Stato, quello che secondo le teorie dell’illuminismo si sviluppa quando c’è un popolo, un territorio, un Governo. Abbiamo fatto molti passi in avanti negli ultimi quattro secoli unendo alla democrazia i diritti universali delle persone. E appare fuori dalla storia chi ha nostalgia dei sovrani assoluti, delle supremazie delle nazioni, delle logiche di potenza. Alzando un sasso per lasciarselo cadere sui piedi.