Nei giorni scorsi Isfol ha pubblicato un rapporto sul programma di politiche attive del lavoro “Garanzia Giovani”. Il rapporto copre i due anni di funzionamento del programma che ha preso il via il primo maggio 2014. Garanzia giovani fa parte delle azioni avviate a livello europeo per contrastare il fenomeno di giovani (per l’Italia di età compresa fra i 15 e i 29 anni) che non risultano impegnati in percorsi formativi, né occupati, né registrati come persone in cerca di occupazione. Più in generale l’obiettivo europeo è quello di rendere stabili percorsi scuola lavoro con la volontà di offrire entro quattro mesi dalla conclusione di un ciclo di istruzione o formazione un’opportunità per migliorare la propria occupabilità o un’occasione di inserimento lavorativo.
Data la situazione molto grave sia per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, sia per la stima dei Neet presenti nel nostro Paese, il programma è stato rivolto a tutti i giovani compresi nella fascia d’età stabilita che si sarebbero potuti volontariamente registrarsi sul sito nazionale predisposto ed entro 4 mesi avrebbero avuto una proposta operativa da parte dei Centri pubblici per l’impiego o attraverso le attività fornite delle Agenzie per il lavoro accreditate.
Per il programma sono stati stanziati oltre 2 miliardi di euro fra contributi europei, fondi nazionali e fondi regionali. Il primo obiettivo di spesa (110 milioni entro maggio 2015) è stato superato. La spesa certificata è stata di oltre 150 milioni di euro. I prossimi obiettivi prevedono una capacità di spesa di 835 milioni entro fine 2017 e 1,5 miliardi per fine 2018.
Nel corso dei primi due anni si è iscritto al programma oltre 1 milione di giovani con 982 mila ammessi in via definitiva. Tale dato corrisponde al 57% del bacino stimato che era di 1,7 milioni di aventi diritto. Dal punto di vista operativo, il 2014 ha visto un crescente numero di domande, ma l’anno è servito ai Cpi per organizzarsi e assicurare via via la capacità di prendere realmente in carico le persone e avviarle al percorso individuato di collocazione lavorativa.
Nel 2014 la capacità di presa in carico è stata sotto al 50%, mentre nel 2016 è ormai stabilmente oltre il 73%. Oggi più del 60% dei registrati riceve una proposta di presa in carico entro i due mesi successivi all’iscrizione. Scontando questi ritardi della macchina organizzativa, sono risultati 855 mila i giovani inseriti nel programma e 630 mila quelli poi avviati in programmi attuativi dei servizi al lavoro. Il risultato operativo è dato da 265.444 giovani che hanno ottenuto un risultato occupazionale con inserimenti in tirocinio o con assunzione secondo uno dei possibili contratti di inserimento al lavoro. La percentuale del 42,1% del totale dei giovani presi in carico, se confrontata con il dato medio del 4% di disoccupati collocati dai Cpi, indica il salto di qualità in efficacia che è stato ottenuto dal primo programma nazionale di politiche attive.
Ovviamente tale risultato non è uniforme sul piano nazionale e ciò interroga la governance attuata per Garanzia Giovani e dà spunti per l’avvio dei nuovi servizi al lavoro che saranno promossi da Anpal. La governance che ha coordinato il programma (concordato fra Ministero, Regioni e province autonome) ha definito a livello centrale la piattaforma tecnologica e informativa, la profilazione degli utenti, la definizione del sistema di monitoraggio e valutazione. L’attuazione delle azioni di politica attiva spettava invece alle Regioni. Lo schema di azioni previste è stato concordato nazionalmente e prevede un’offerta di lavoro, o un tirocinio extracurriculare, la proposta di apprendistato o per il servizio civile, percorsi di autoimprenditorialità o di esperienza transazionali o percorsi di specializzazione per completare formazione e/o istruzione.
I dati che illustrano l’andamento dei primi due anni fanno emergere alcune riflessioni. Il mercato del lavoro italiano presenta molti squilibri. Il tasso di occupazione varia enormemente sia per ragioni geografiche che per sesso. La profilazione e degli handicap personali devono essere correlati con le specificità del territorio in cui si cercano sbocchi occupazionali sia per calibrare i costi dei servizi, sia per un riconoscimento economico maggiore in caso di successo nei percorsi di inserimento lavorativo. Altro elemento emerso è la diversa capacità di adeguamento delle strutture regionali nel riuscire a rispondere con la presa in carico dagli utenti entro i 60 giorni e dare poi il via ai servizi di politica attiva entro i quattro mesi successivi. Dove le regioni non hanno già avviato un sistema di politiche attive capace di coinvolgere anche la rete di operatori privati accreditati il rispetto delle tempistiche è stato scarso. La sottodotazione della rete dei servizi pubblici per il lavoro è nota. Le risorse necessarie per arrivare agli standard dei paesi europei oggi non sono disponibili ed è meglio concentrarle sui servizi che non sulle strutture. Per questo, anche in vista del nuovo sistema nazionale introdotto dal Jobs Act, bisogna prevedere un sistema di accreditamento che permetta di operare con una rete di servizi pubblici e privati non gerarchizzati, ma definendo compiti collaborativi.
La prima esperienza di politica attiva del lavoro operata a livello nazionale ci fa prendere atto che si è perso troppo tempo a ragionare sulle strutture e si è ritardato ad avviare servizi reali al lavoro. Oggi parlare di costi standard applicabili per il panel di servizi da offrire in tutte le regioni e di interventi di semplificazione amministrativa per facilitare reti pubblico-privato è un tema chiaro a tutti e non è più fonte di divisioni ideologiche. Anche aprire un dibattito sulla necessità di ampliare il “glossario” dei servizi al lavoro stante un sistema informativo unitario non è più visto come elemento di controllo centralistico ma come uno strumento indispensabile per poter operare tutti al meglio.
Si può certo recriminare che i posti di lavoro creati sono ancora pochi. Ma ricordiamoci che le politiche attive del lavoro servono a far sì che domanda e offerta si incontrino con più facilità. Altre sono le politiche per aumentare i posti di lavoro. Intanto non siamo più il Paese dove il canale di fornitura dei servizi al lavoro era costituito dalle conoscenze famigliari o amicali. Già questo dice della necessità di operare con decisione la riforma dei servizi al lavoro.