Dopo mesi di attesa, ieri è stato il primo giorno per il nuovo gruppo Fiat, che si è ufficialmente sdoppiato in Fiat industrial (Cnh e Iveco) e Fiat spa. Prima di aggiungere qualsiasi analisi e commento, tra cui quelli più che necessari sulle dichiarazioni di Marchionne, bisogna almeno sottolineare due fatti talmente semplici da rischiare di passare ingiustamente inosservati.
Il primo è che ieri dopo la chiusura dei mercati la somma delle due azioni ordinarie dava un guadagno di quasi il 4% rispetto alla chiusura del 30 dicembre. Evidentemente, nonostante il progetto di spin-off fosse noto nei dettagli da mesi, la magia di due aziende quotate per due business diversi si è ripetuta ancora una volta alla faccia di operatori professionali di ogni tipo. I calcoli di analisti e gestori sono sempre inevitabilmente influenzati, e spesso limitati, dal prezzo di borsa; uscire, o farlo eccessivamente, dallo schema predefinito di quello che in un certo senso ha deciso la maggioranza (come nel caso del prezzo di ieri), è più difficile di quanto sembri. La morale è che non bisogna mai presumere troppo.
Quello che il mercato invece ha già capito benissimo da mesi – e che è ben testimoniato dalla performance di ieri – è che lo spin-off è solo l’inizio dell’avventura per il gruppo Fiat. Prima di cercare di capire quale sarà l’avventura bisogna almeno notare un altro fatto degno di nota. Fiat industrial ieri sera, e secondo ogni previsione, capitalizzava sensibilmente di più, il 30%, della gemella Fiat, nonostante Chrysler e Alfa.
Ma il meglio deve ancora arrivare; ieri l’ad Marchionne ha detto molto del futuro di Fiat. Innanzitutto qualche “simpatica” dichiarazione su Mirafiori:“Fiat è capace di produrre vetture con o senza la Fiom” e “se al referendum vince il no con il 51%, la Fiat non fa l’investimento a Mirafiori”. L’idea è molto semplice: o Marchionne ottiene quello che vuole in termini di efficienza e produttività degli impianti oppure niente investimenti. La conseguenza non detta ma ovvia di questo “niente investimenti” significa meno (e meno sicuri) posti di lavoro.
La novità da ieri, nel caso a qualcuno non fosse ancora chiaro, è che Fiat non è il carrozzone italiano costretto a venire a patti a ogni costo per sopravvivere. La Fiat di Mirafiori è la sola Fiat auto più Chrysler, risponde ai mercati, azionisti internazionali e, perché no, anche sindacati e lavoratori internazionali. Non lo diciamo noi, lo dice Marchionne stesso quando afferma che “la Fiat sta andando in giro per il mondo a raccogliere i finanziamenti necessari per portare avanti il piano. Andate in giro, voi e i sindacati, a raccogliere i soldi”. Finanziatori internazionali chiederanno conto di come Fiat spenderà i soldi, se bene o male, con sprechi o senza sprechi e avranno il diritto di farlo.
Per l’ad di Fiat è possibile che Fiat raggiunga il 51% di Chrysler se quest’ultima venisse quotata nel 2011. È difficile prevedere se questo obiettivo verrà raggiunto già da quest’anno, ma è certo che a Torino si farà di tutto per accorciare al massimo i tempi. In primo luogo, c’è l’opportunità di prendere a prezzo di saldo il terzo player americano, poi si tratta pur sempre di un passo molto importante verso l’ormai mitico obiettivo di sei milioni di auto prodotte all’anno, poi ci sarebbe quel dettaglio della fusione con conseguente diluizione di Exor nel complicatissimo mondo auto, infine, last but not least, la fortuna di ritrovarsi un po’ meno italiani di oggi.
Marchionne può benissimo sostenere che a oggi non c’è nessun piano di fusione tra Chrysler e Fiat, ma non può credere che quell’“a oggi” basti al mercato per smettere di credere e speculare sul progetto, soprattutto se appare come l’approdo più sensato da un punto di vista industriale e finanziario.
L’ultima osservazione è che proprio per Marchionne lo spin-off è un punto di partenza e non solo d’arrivo. Da queste parti non si nutriva alcun dubbio in proposito. L’unico senso di questa operazione è creare maggiori possibilità industriali per il futuro. Parliamo innanzitutto di Chrysler, ma anche di Alfa e Iveco. Questa è la ragione per cui siamo certi che nel 2011 avremo modo di parlare ancora tanto di Fiat, delle sue prospettive industriali, dei rapporti coi sindacati e delle ripercussioni che tutto ciò avrà sui valori borsistici del titolo. Anzi dei due titoli.