Nel terzo trimestre il Pil americano è cresciuto del 5%, mettendo a segno la miglior performance trimestrale degli ultimi dieci anni (esattamente dal +6,9% del terzo trimestre 2003); il dato comunicato ieri ha sorpreso, in positivo, il mercato che si aspettava un numero molto più simile alla stima preliminare, già comunicata, del 3,9%. La spesa per consumi, cresciuta del 3,2% (la stima precedente era 2,2%) è stata la principale causa di questa “esplosione” e della revisione che ha battuto anche la più ottimistica delle stime; al rialzo hanno contribuito anche investimenti privati e pubblici. La notizia si è riflessa sui mercati finanziari determinando un rafforzamento del dollaro con il cambio euro/dollaro sceso sotto 1,22.
Pazienza se il debito su Pil è superiore al 100%, se negli Stati Uniti non hanno mai neanche sentito parlare della parola austerity (e quindi ovviamente hanno sbagliato tutto…) e se al dato di ieri ha contribuito in modo determinante anche il nuovo programma sanitario “ObamaCare”. Certo, sicuramente rimangono elementi di debolezza sia sul mercato del lavoro, con il tasso di partecipazione inferiore a quello pre-crisi, sia su quello finanziario ancora preoccupato del debito privato, del mercato immobiliare o, ultimamente, del credito alle imprese petrolifere; qualsiasi elemento di debolezza o preoccupazione si voglia sottolineare o riflessione sulle fragilità, innegabili, della società americana (che di certo non si cambiano e non cambieranno in un lustro), i dati che escono dall’altra parte dell’Oceano mettono in imbarazzo l’Europa che quanto meno dovrebbe spiegare perché le cose nel Vecchio continente siano andate e vadano così peggio.
È abbastanza impressionante che nella settimana del Pil a +5% l’Europa viva una vigilia di apprensione mista a terrore per l’esito elettorale di uno dei suoi stati più piccoli messo in ginocchio, e siamo anche buoni, da una crisi nerissima mentre i leader tedeschi si “complimentano” per i successi di uno zero virgola di un’economia che negli ultimi sette anni ha lasciato per strada un quarto del proprio Pil; sarebbe questo, per inciso, il frutto dell’austerity e del rispetto del tetto sul deficit? O è questo il modo in cui l’Europa “fa sistema”?
Non parliamo poi, dato che è Natale, di quello che è successo in Spagna e Portogallo o in Italia e di quello che sta accadendo in Francia. Di fronte a queste differenze disquisire su questa o quella particolare debolezza o punto d’ombra dovrebbe fare arrossire. Dovrebbe anche arrossire chi per anni, al di qua delle Alpi, ha riempito i giornali che contano di articoli pro-austerity o di ricette basate su privatizzazioni di società sane che pagano dividendi per ridurre lo stock di debito di qualche punto.
Festeggiare per i successi dell’economia americana è inopportuno anche perché gli elementi di incertezza e di instabilità non solo non sono finiti, ma sono al centro delle preoccupazioni degli investitori globali. Uno dei centri di preoccupazione è, appunto, l’Europa, che non vede neanche l’ombra della ripresa e vive invece un’esplosione di incertezza politica che occupa le pagine degli studi delle banche d’affari globali.
Queste, secondo elemento di incertezza, si dividono tra quelle che danno per scontato il Quantitative easing della Bce e quelle che invece si chiedono se e quando verrà fatto; forse fanno più paura le analisi delle prime che aprono scenari inquietanti in caso di “delusione”. I mercati si interrogano su un altro “paio” di temi decisamente sensibili: lo stato reale dell’economia cinese colpita dal rallentamento globale nel punto di maggiore forza (le esportazioni), gli effetti del rafforzamento del dollaro sugli emergenti e quelli del crollo del petrolio.
Nelle analisi delle banche d’affari sul 2015 uscite, puntualmente, all’inizio di dicembre emerge uno scenario carico di opportunità ma anche di rischi per l’anno nuovo. Questo scenario trova un’economia americana che quantomeno appare in netta risalita e una europea che arranca visibilmente. I temi in Europa sono sostanzialmente due: la fine dell’austerity e il supporto della Bce e le riforme a livello di singoli paesi. In entrambi i casi c’è moltissimo da fare e in Italia siamo ancora allo zero di una burocrazia asfissiante.
Anche per questo il dato americano di ieri merita di essere evidenziato; qualche indicazione su cosa fare e non fare dovrebbe darla.