L’idea è di quelle semplici. Lasciar lavorare la gente, defiscalizzando ogni donazione, consentendo di detrarre dal reddito imponibile ciò che va per situazioni dov’è dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Si tratta di applicare il principio di sussidiarietà anche nelle catastrofi immani, non perché sia un pallino di qualcuno o sia scritto sui libri della dottrina sociale cristiana. Ma perché è la cosa più umana che esiste, l’unica chiave che può aprire la porta di piombo della solitudine e della disperazione. Se la sussidiarietà serve solo per la cosiddetta normalità, cioè quando non ci sono troppi guai, buttiamola. Vuol dire che non serve nei momenti seri della vita. Che è un lusso, un accessorio del dì di festa. Quasi che il monopolio delle questioni gravi e gravissime debba essere consegnato allo Stato.
Invece no.
Non ce l’ho con lo stato. Anzi. La sussidiarietà suppone lo Stato, perché è una catena che va verso l’alto, e se non c’è lo Stato c’è anarchia, dunque impossibile organizzarla questa sussidiarietà. Sia chiaro. Non è che il principio di sussidiarietà è la salvezza, non è la formula della società perfetta dove non serve essere buoni. Nessun aiuto, nessuna organizzazione può rispondere al bisogno decisivo di un uomo o di una donna, ma questo palpito di simpatia per l’altro che grida aiuto, il soccorrerlo, il mettersi insieme gratuitamente ci dice di che cosa siamo fatti: senso religioso, mendicanza al Mistero che si riveli. Consentire che questa tensione si esprima in pienezza, e prima sia sollecitata, promossa, garantita, accompagnata è compito dello Stato anche in situazioni di gravità immani.
Ho detto “senso religioso”. Non sto facendo un discorso di contaminazione illecita tra la sfera religiosa e quella civile e politica. Infatti la vera pasta di ogni tensione umana, anche politica, o è religiosa o è contro l’essenza dell’uomo. Religioso non è affibbiare una religione a qualcuno, ma riconoscere che gli uomini hanno il desiderio della felicità, ed esso c’è anche e forse di più quando si è in condizioni estreme, di lutto e precarietà.Dunque, lo Stato oggi muove immense risorse in proprio. Deve farlo. Piace Berlusconi che come leader di un popolo vada dove la sua presenza significa partecipazione della comunità alla vita di una sua parte ferita. Ma questo non può spingere al fatalistico aspettarsi di tutto da parte dalla macchina enorme dello Stato, non è vero che l’autorganizzazione debba farsi da parte per lasciar spazio all’unica Entità che ritiene di potersi paragonare, se non altro per massa, all’immensità della tragedia abruzzese. Vero: i guasti sono spaventosi, e lo Stato ha una potenza di mezzi che devono essere volti a beneficio delle realtà colpite. Ma se si ferma il cuore di un popolo per sostituirlo con la burocrazia è il disastro.
Ecco allora l’idea. Versi soldi alla Protezione civile? Togli dal reddito su cui paghi le tasse il dono. È un premio e un invito. Ma questo deve poter valere anche al di fuori del recinto delle organizzazioni ministeriali o regionali o comunali. Ad esempio. Se tu versi offri al Banco Alimentare per l’impegno in Abruzzo. Se consegni risorse a realtà di abruzzesi che vogliono rimettere in piedi una scuola libera. Oppure a una parrocchia, a una associazione culturale, che scegli tu: devi poterlo fare senza un eccesso di timbri. Ovviamente questa detrazione comporta che il beneficiario accetti controlli sull’uso di questi finanziamenti.
In sostanza. Si tratta di consentire che quanto sgorga dal cuore e viene ad alleviare le pene non sia sottoposto a pedaggi e taglietti con la scusa che “le tasse sono belle”. E che la risposta alle tragedie immense come un terremoto devastante sia accolto come sussidiaria a quanto fa lo stato, con piena e pari dignità. Questo il segno della defiscalizzazione.
Così è nata alla Camera, tra cinque deputati amici, tra cui sono felice di essere l’ultimo arrivato, la proposta. Assistevamo a questo disastro ed insieme alla meraviglia della generosità fraterna. Desideriamo uno Stato che sia amico e sostenitore di chi vuole contribuire al bene. Il quale a sua volta non si consegni alla confusione ma accetti di lasciarsi controllare e coordinare da uno Stato amico.