Non li avesse scelti Lui, gli apostoli, verrebbe voglia di scommettere che fossero usciti dal genio di qualche fumettista, di un vignettista che sogna di fare capottare dalle risate i suoi affezionatissimi lettori. Invece son usciti dal cuore di Cristo, dunque ci sono padri nella fede. Non per questo, però, Lui ha cancellato le tracce di ciò che fecero, di ciò che sono stati: degli emeriti incapaci in materia di Vangelo. E’ il caso di oggi: Gesù – appena dopo le confidenze pazze fatte tra Lui e Pietro sulla strada per Cesarea, con annessa tirata d’orecchi – inizia a dire ai suoi discepoli la verità che li attende: ne parla con precauzione, fa attenzione a non spaventarli troppo, avanza passo-passo.
Loro sono molli come budini: nei loro volti c’è un’ansia senza paragoni: “Morire per vivere, perdere per vincere? Vi pare normale un uomo così, gente?” bisbigliava il Menzognero che s’infilava di continuo nelle loro confidenze. E loro, poveri cristi amici del Cristo, arrancavano nel capire. Tanto che l’evangelista li sveste: “Essi non capivano queste cose e avevano paura di interrogarlo“.
Siccome non capiscono – e si vergognano di alzare la mano –, parlano di tutt’altro. Sono gente vergognosa gli apostoli, così vergognosi che si vergognano di dare risposta alla Sua domanda: “Di che cosa stavate discutendo lungo la strada?“. Domanda tautologica: ha già sentito l’affar che preme loro dibattere. Vuol sentirselo dire da loro: “Essi tacevano“. Troppo, per gente come loro, metterci la faccia: “Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande“ (cfr Mc 9,30-37). Manca poco, a Cristo, per strapparsi capelli.
Non s’arrende: son pur sempre amici suoi, scelti da Lui. Non riconosciamo mai Dio quando passa: Dio è sempre un incompreso, uno sconosciuto. Non capirlo è la miglior garanzia di una fede cristallina: non capirlo, ammetterlo. Li fa sedere, non si arrende alla loro ignoranza: vuole insegnare loro un’altra un’unità di misura. Non più solo centimetri, metri, chilometri: “13cm di profondità, 20cm di lunghezza. Sono alto un metro e settanta. Sono 235 chilometri di viaggio”. D’ora innanzi il Cielo si misurerà in infanzia: “O tornerete bambini, o il Regno dei Cieli scordatevelo”. Da oggi vera solitudine sarà sperimentare l’inutilità della nostra infanzia: “Se sapessi dov’è la strada che torna indietro, la lunga strada per il paese dei bambini” scrisse il teologo protestante D. Bonhoeffer.
Perché i bambini? Perché con i bambini è facile capirsi: quando ti prendono per la mano, hanno già scelto di fidarsi di te. Dio è bambino: ti prende per mano, ha deciso di fidarsi di te. Non potevano capirlo al volo quegli uomini così grezzi e spigolosi: è per questo che li fa sedere, li ammaestra, insegna loro una misurazione diversa per vedere quanto son grandi: “Più sei piccolo più sei alto, più accetti di perdere più sali in classifica, più ti metti a sciacquare i piedi più signore sarai”. Alla porta del Cielo sta affissa una scritta: “Si prega di rimanere bambini per non perdere la felicità acquisita”. E’ il Vangelo, come un carro ribaltato: ciò che a prima vista pare ovvio, ovvio non è più. “Avanti guardando indietro” sembra insegnar Cristo agli amici. Non amici-gamberi, ma amici-bambini: avanzeranno senza scordare il bambino che sono stati. Senza vergognarsi dell’infanzia, la stagione nella quale si ha sempre i tergicristalli negli occhi, la spavalderia di chi, per riuscire un giorno a capire, è disposto prima ad amare. A fidarsi a occhi chiusi.
Che, a ben pensarci, è ciò che fece Dio stesso a Betlemme: si rimpicciolì – dice Paolo agli amici di Colossi – fino a farsi bambino ed entrare nel grembo di una (ma)donna. Tornò bambino, Lui che era immensamente grande, per aprire all’uomo la strada per ritornare ad essere come Dio, com’era agli inizi di tutto: rimpicciolirsi, abbassarsi, svestirsi. Calarsi, umiliarsi, inginocchiarsi. Pare cosa buffa, ma è Vangelo: il modo migliore per arrivare ad essere noi stessi è fare di tutto per assomigliare a Dio. Lasciandoci guidare dal bambino che siamo stati.