Molte le anomalie nel caso del bresciano Alessandro Sandrini vittima di un rapimento che dura ormai da quasi due anni, accaduto nell’ottobre 2016, un tempo lungo il che è già una stranezza per casi come questo. Ma prima ancora, anomala è la scelta del luogo della settimana di vacanza, quella zona della Turchia quasi al confine con la Siria, non distante da Aleppo, dove in quel periodo infuriava la guerra contro l’Isis e dove si muoveva l’esercito turco in azioni di combattimento contro i curdi. Quindi il fatto che in questi quasi due anni il Sandrini abbia avuto modo di telefonare almeno due volte alla madre per dire che i rapitori volevano soldi, un primo video del marzo scorso e il video di due giorni fa, dove l’uomo appare con la classica divisa arancione dei prigionieri dell’Isis con dietro due uomini incappucciati. Domenico Quirico, inviato di guerra de La Stampa, che nel 2013 fu rapito in Siria e liberato circa cinque mesi dopo, da noi intervistato, sottolinea queste anomalie, soprattutto il metodo di comunicazione che non corrisponde a quello tipico dei gruppi jihadisti: “Propendo per un gruppo di criminali comuni, anche se sembra davvero molto strano che il rapimento sia avvenuto in Turchia, dove c’è un gran controllo del territorio. I video non dimostrano nulla: potrebbero essere stati girati a Catanzaro, per quanto ne sappiamo noi”.
Che idea si è fatto del caso di Alessandro Sandrini?
È un caso che presenta molte contraddizioni e anomalie. Prima di tutto il luogo dove sarebbe avvenuto, e il condizionale qui non è d’obbligo, lo dobbiamo usare visto il poco che si sa di questo caso. Mi sembra curioso che in territorio turco operino gruppi jihadisti. In realtà non basta una tuta arancione e dei cappucci per dire che sono dei jihadisti come invece si sta dicendo: quelle immagini potrebbero essere state fatte anche in Italia perché non hanno alcun elemento che indichi dove siano state fatte, anzi ci sono altri particolari bizzarri.
Quali?
Il tipo di armi che hanno in mano i presunti rapitori, a parte un Kalashnikov, le altre non mi sembrano quelle normalmente in dotazione ai gruppi jihadisti.
Altri elementi che la lasciano dubbioso?
È difficile farsi una idea. Anche il video scoperto “per caso” da un sito americano è una cosa bizzarra. Questo tipo di persone non è che mettano online i video a caso, o a disposizione di una piattaforma americana, ma lo mandano a chi devono mandarlo. Inoltre, nelle immagini non ci sono elementi di alcun tipo che possano far pensare a messaggi concordati con chi porta avanti la trattativa, sempre che ci sia una trattativa. Già negli anni ’70 i rapitori sardi usavano questo metodo di comunicazione per portare avanti delle trattative, qua non sembra ci sia alcun tipo di messaggio.
Due anni poi sono un tempo lunghissimo per una trattativa, sembra che qualcosa non vada in porto, che ne dice?
La lunghezza del tempo è impressionante. È anche vero che il tempo in vicende come queste ha una importanza relativa, ma è tutto molto difficile da decifrare. Si tratta di una persona che credo si trovi in una situazione tremenda, anche se è vero che in altri sequestri risultati reali e conclusi positivamente c’erano cose che non quadravano come in questo caso.
I familiari hanno accusato il governo italiano di voler lasciare morire il Sandrini, hanno saputo dell’ultimo video solo al telegiornale. È comune durante delle trattative che neanche i familiari siano avvertiti di niente?
In passato ci si è attenuti in molti casi a questo principio per ragioni legate al tipo di trattativa, coinvolgere i familiari avrebbe potuto portare al rischio di fare pressioni da parte dei rapitori sui familiari stessi e così deviare le indagini. Anche qui ovviamente non esiste una regola. Il governo non si comporta così per far soffrire i familiari, ci sono ragioni operative, dipende chi sono i sequestratori, ammesso si sappia chi sono i sequestratori.
La nostra intelligence si è sempre dimostrata particolarmente abile in casi di rapimento, è d’accordo?
Direi proprio di sì per esperienza personale, visto che ho subito un rapimento proprio in Siria. C’è una grande capacità di risalire i fili fino ai sequestratori. Dipende da elementi psicologici o dalla natura dei sequestratori. Un sequestratore sardo aveva, una volta, reazioni diverse dallo jihadista o dal bandito curdo, somalo o libico, bisogna avere una grande conoscenza dei luoghi, delle motivazioni, e poi dietro un rapimento non è detto che ci sia sempre il denaro.
In conclusione?
Tutto quello che ci siamo detti fa parte dell’orribile forma ricattatoria del sequestro, dove c’è il buio sul perché, le voci si diffondono e la scenografia tracciata di questo tipo di storie.
(Paolo Vites)