Angela Merkel — riferisce dalla Germania il Corriere della Sera — avrebbe deciso di candidare Manfred Weber, leader bavarese dei popolari all’Europarlamento, a prossimo presidente della Commissione Ue. Il premier ungherese Viktor Orbán avrebbe pre-avvertito il vertice del Ppe e Silvio Berlusconi dell’ultimo vertice milanese con Matteo Salvini, vicepremier italiano e leader della Lega. Nicola Zingaretti si è candidato alla guida del Pd prendendo le distanze dalla linea politica del presidente francese Emmanuel Macron, ma non escludendo possibili accordi elettorali in vista del voto europeo del maggio 2019.
Se tre più-che-indizi concorrono a fare una prova — anche sullo scivoloso e mutevole scacchiere politico-elettorale — il primo voto autentico per il parlamento di Strasburgo a quarant’anni dall’esordio sta cominciando a disegnare lo spartito della sua campagna. Inedito, diverso dalla vulgata mediatica corrente.
Le mosse di Merkel-4 appaiono ovviamente le più significative. La (ex?) super-cancelliera è di fatto assente da ogni dibattito pubblico interno e internazionale da quando la sua “piccola coalizione” è entrata faticosamente in carica. Duramente snobbata dal presidente americano Trump (e tenuta in scacco dagli Usa su Volkswagen e Deutsche Bank), costretta a un’incerta difensiva al vertice dei capi di Stato Ue di fine giugno (principalmente dal governo italiano sul dossier-migrazioni); minacciata di scissione interna dalla Cdu bavarese sulle politiche di accoglienza; premuta dai “barbari” cinesi alle porte delle grandi aziende tedesche; in stallo nei rapporti con la Russia putiniana; quasi silenziosa sugli ultimi “moti di Chemnitz“, fra xenofobia e risacche nell’ex Germania Est: ora Merkel sembra obbligata a un gioco “a somma negativa”.
La pre-candidatura di Weber, se confermata, segnalerebbe infatti: a) la necessità di privilegiare, nell’agenda di Berlino, la guida dell’esecutivo di Bruxelles rispetto alla presidenza della Bce (forse destinata di nuovo alla Francia); b) la necessità politica della cancelliera di rinunciare a un’exit strategy personale verso la Ue, dovendo invece pagare nell’immediato il pedaggio massimo al partner cristiano-democratico bavarese ai fini della coesione della maggioranza al Bundesrat.
Se comunque toccherà a Weber recitare da doppio spitzenkandidat (tedesco e del Ppe) sembrano più leggibili altri sviluppi degli ultimi giorni su altri fronti europei. Nell’arco di poche ore Salvini ha incontrato Orbán con rilievo di vertice di Stato, lasciando poi correre le voci di una svolta-strappo: la “chiusura” della Lega in caso di una pronuncia giudiziaria negativa sul caso dei fondi di partito; e la probabile nascita di un nuovo partito contenitore del centro-destra italiano, aperto anzitutto a Forza Italia, il maggior aderente nazionale al Ppe. Berlusconi — “riabilitato” dalla Merkel già prima del voto del 4 marzo — sta lasciando trapelare la sua attenzione interessata a tutti gli sviluppi in corso.
Non sorprende infine il “doppio binario” — apparentemente contradditorio — pre-annunciato da Zingaretti per le prossime europee: l’agenda del suo “nuovo Pd” (popolare e progressista) non potrà mai essere “macroniana” (tecnocratica e centrista) ma il Pd potrebbe entrare in un cartello elettorale con le forze politiche europee che si riconoscono nell’impegno anti-populista del presidente francese (anzitutto contro l’italiano Salvini). Le prime reazioni nel Pd sembrano negative: ancora una volta Matteo Renzi non pare accettare che altri leader del centrosinistra schiantato ripartano dalla photo opportunity in camicia bianca fra l’allora premer italiano e l’allora ministro dell’economia francese all’indomani delle europee 2014, unico trionfo elettorale di Renzi. Ma ormai il gioco non è più solo nelle sue mani e non è più solo italiano: “stare con Macron” (cioè con chi presumibilmente deciderà il successore di Mario Draghi alla Bce) si annuncia come un’agenda politica molto più pesante e strategica di quelle che si confronteranno — se e quando ci saranno ancora — nei gazebo delle primarie del Pd.