In questo momento penso ci siano poche poltrone più scomode di quella del ministro Bussetti che, appena insediato, ha fatto sapere di avere individuato in una piccola riforma dell’esame di Stato un valido strumento per correggere gli errori dei suoi predecessori e rendere la scuola migliore.
La preoccupazione di passare inosservati spinge quasi tutti i ministri dell’Istruzione a voler ritoccare l’esame di Stato nonostante, almeno sulla carta, abbia un successo strepitoso, visto che quasi la totalità degli ammessi lo supera. Non importa se i tanti ritocchi non siano mai riusciti a correggere gli aspetti più critici (ad esempio, l’assegnazione del bonus) da sempre segnalati dai commissari e dai presidenti di commissione; l’importante è cambiare qualcosa.
In una scuola come quella italiana di oggi però, concentrarsi sull’esame finale assomiglia all’atteggiamento dell’amministratore di uno stabile disastrato che si ostina a voler cambiare le maniglie degli ascensori e la passatoia nell’ingresso mentre i muri vanno in pezzi e cadono le tegole dal tetto.
E di tegole ne stanno cadendo parecchie sulla scuola. L’ultima, in ordine di tempo, a opera del Consiglio di Stato. A rischio i concorsi “non selettivi”, che dovrebbero consentire di immettere in ruolo varie categorie di precari, a volte creati proprio da norme confuse e contraddittorie sulle quali si innescano giganteschi ricorsi.
Nonostante le azioni del legislatore si concentrino quasi esclusivamente sul personale, non si riesce a trovare una soluzione che chiarisca, una volta per tutte, come si debba accedere alle professioni dell’istruzione e che valore abbiano le procedure concorsuali, visto che tutti quelli che lavorano nella scuola conoscono benissimo persone anche ripetutamente “bocciate” che hanno tranquillamente svolto lo stesso lavoro dei vincitori di concorso fino alla pensione.
Ogni disposizione che viene emanata, forse per la fretta, forse per la scarsa attenzione di chi la elabora, forse per una serie di disgraziate congiunzioni astrali, dà una marea di spunti di ricorso e ci si trova costantemente bloccati. Il caso dei maestri è eclatante: se dal 1990 è richiesta la laurea, come mai fino al 2001 ci si poteva inserire in graduatoria? Probabilmente il problema si è creato per la scarsa capacità di programmazione delle università, ma allora si dovrebbe fare in modo di avere ogni anno un giusto numero di laureati e non 250 contro i 4mila posti vacanti, come pare stia succedendo in Piemonte, altrimenti si deve rivedere la legge sui titoli di accesso e di questo pare proprio che il ministro sia consapevole.
Per quanto riguarda la sorte dei tre concorsi previsti per il 2018-2019, sarà interessante verificare la decisione della Corte costituzionale, perché di concorsi riservati ne sono sempre stati banditi, recuperando spesso parte dei bocciati ai concorsi ordinari, e sono state sperimentate diverse modalità di selezione (colloquio, corso, concorso) per uscire, ad esempio, dall’inestricabile ginepraio creatosi in Lombardia con un famoso concorso per dirigenti scolastici.
Attualmente l’idea di poter entrare in ruolo sostenendo solo un colloquio nel quale si può anche meritare 1/40 senza incidere sull’esito positivo è sicuramente affascinante e si può capire che ci siano tante persone da tempo in attesa di “sistemarsi” che sperino in questa possibilità. I vincoli, anche di bilancio, che hanno fatto rimandare anche di 15 anni (come nel caso dei Dsga) i concorsi, hanno creato aspettative in tantissime persone che, come in tutti i momenti di crisi, vedono la scuola come un grande ammortizzatore sociale e sperano, alla luce di una lunga storia di prove annullate, graduatorie bloccate e sanatorie varie, di risolvere il loro personale problema.
Con tutta la comprensione per le esigenze di tutti, è necessario che si rifaccia un po’ di ordine.
“Mettere lo studente al centro” non deve essere uno slogan, ma un principio in base al quale lavorare su tutti gli aspetti della scuola; quindi non si può rivendicare, ad esempio, la “continuità didattica” quando vogliamo che i docenti non siano trasferiti e, allo stesso tempo, permettere loro di andarsene prima della scadenza fissata oppure di chiedere il trasferimento in un’altra città e poi domandare di essere impiegati nella sede di provenienza magari per anni.
Non si può rivendicare una maggiore severità nella valutazione degli studenti in fase di ammissione all’esame di Stato, pretendendo la sufficienza in tutte le materie, e poi vedere il Tar accogliere il ricorso di chi non è stato ammesso con quattro insufficienze.
Bisognerebbe che fosse chiaro, ad esempio, che:
– le cattedre esistono se e dove ci sono studenti e se e dove si insegna una determinata materia;
– per insegnare bisogna essere in possesso di titoli ben precisi, altrettanto preciso deve essere l’iter per conseguirlo, gli enti autorizzati a formare e i controlli previsti;
– bisogna dimostrare, al di là della preparazione culturale, di essere in grado di insegnare ai bambini e ai ragazzi e questo (decidete voi chi) qualcuno lo deve verificare e chi non è idoneo deve essere messo in grado di acquisire le competenze essenziali, indispensabili per relazionarsi correttamente con gli allievi, altrimenti deve fare altro;
– l’insegnante si deve aggiornare continuamente e per davvero;
– le riforme vanno studiate bene, sperimentate per un ragionevole periodo e quando entrano in vigore devono essere monitorate con cura e occorre controllare puntigliosamente che le norme non vengano eluse;
– se la norma generale continua a prevedere l’accesso ai ruoli tramite concorso, deve essere ben precisato quali siano i titoli di ammissione, quale tipologia di prove si debbano sostenere, quali e quanti posti siano a disposizione di chi le prove le supera, e altrettanto chiaro dev’essere che chi le prove non le supera dovrà presentarsi in un’altra occasione. Il bando, però, deve essere inattaccabile e non astruso, pasticciato e contraddittorio, tanto da far preparare i ricorsi il giorno stesso della sua pubblicazione.
Una volta risolti i principali problemi legati al personale, si potrà sperare che al Miur abbiano abbastanza tempo ed energia per verificare cosa non funziona e come migliorare gli aspetti critici, con una visione pedagogica credibile però, e non con l’ansia di contemperare l’esigenza di tagliare i costi con quella di aggiungere ore e materie ai piani di studio per creare posti di lavoro né con quella di “fare” comunque qualcosa.
C’è tantissimo da lavorare sulla valutazione, sul problema dei giudizi sospesi nella scuola secondaria di secondo grado, sulle esperienze di alternanza lavoro, sui crediti scolastici, sulla possibilità di favorire le eccellenze in una scuola veramente inclusiva.
Infine, c’è da riacquistare autorevolezza: le famiglie non si fidano più della scuola e viceversa, e si arriva a punti intollerabili di aggressività nei confronti dei docenti, che sono spesso visti come beneficiari di ingiustissimi privilegi.
Veramente un grandissimo lavoro. In bocca al lupo, signor ministro.