Nonostante la relativa stabilizzazione di gran parte della Siria, il percorso verso la pacificazione della regione appare ancora lungo e difficoltoso. Nella sua intervista al Sussidiario, Carlo Jean illustra i rischi connessi all’attacco delle forze governative alla provincia di Idlib, ancora in mano ai ribelli, incluse milizie collegate ad al Qaeda. L’Onu è preoccupata per le conseguenze drammatiche che l’operazione può comportare per la popolazione civile racchiusa nell’area, gli Stati Uniti si oppongono all’attacco, mentre la Russia ha in corso in questo periodo esercitazioni navali che suonano come un vero e proprio “avvertimento” per gli occidentali a non interferire.
A questo preoccupante quadro si aggiungono le tensioni tra Israele e Iran, salite di tono dopo la firma di un accordo tra Damasco e Teheran sulla ricostruzione della Siria, che prevede però un aiuto strutturale militare al governo di Assad. Finora l’Iran era presente in Siria formalmente solo con consiglieri o volontari, una versione mai accettata da Israele, che ha condotto numerosi attacchi aerei in territorio siriano contro postazioni governative in cui si sospettava la presenza iraniana.
Particolarmente dure sono state le dichiarazioni del primo ministro Netanyahu: Israele sta lavorando per impedire la presenza iraniana in Siria e nessun accordo potrà fermarlo. Netanyahu ha anche ribadito il sostegno alla cancellazione del trattato con l’Iran sul nucleare e alle conseguenti sanzioni contro Teheran. Il discorso è stato tenuto presso l’impianto nucleare di Dimona, nel corso della sua intitolazione al defunto primo ministro Shimon Peres, e avuto come punto centrale la “promessa” che chiunque abbia intenzione di distruggere Israele deve prepararsi alla stessa sorte. In particolare la seguente frase sta suscitando reazioni, molte negative:” In Medio Oriente, e in molte parti del mondo, c’è una semplice verità: non vi è posto per i deboli. I deboli vengono schiacciati, massacrati e cancellati dalla storia, mentre i forti, nel bene o nel male, sopravvivono”. Ha poi aggiunto: “I forti sono rispettati e le alleanze vengono fatte con i forti, e alla fine la pace è fatta con i forti”. Quest’ultima frase sembrerebbe accennare al rafforzamento dei rapporti con l’Arabia Saudita e, probabilmente, con l’Egitto.
La reazione di Teheran si è avuta immediatamente con un tweet del ministro degli Esteri (almeno in questo Trump è un modello): “L’Iran, un Paese senza armi nucleari, è minacciato di annientamento atomico da un guerrafondaio che parla vicino a una fabbrica di armi nucleari. Spudorato al di là di ogni vergogna”. Toni molto duri che tendono a complicare ulteriormente anche i rapporti tra i due maggiori “sponsor” delle parti in causa, come visto all’inizio. Come sottolinea Carlo Jean, è soprattutto l’accorta politica di Putin tesa a cercare un equilibrio tra le varie parti ad essere messa a rischio, e la situazione può facilmente sfuggire di mano con conseguenze incalcolabili.
Su questa politica “dell’orlo del burrone” influiscono anche cause interne, per esempio le difficoltà di Netanyahu per le accuse di corruzione e il suo tentativo di arrivare, al contrario, a una posizione più forte in vista delle elezioni del prossimo anno. In effetti, sembra che il premier abbia già iniziato la campagna elettorale e il suo presentarsi come “uomo forte” sembra diretto a rafforzare la presenza in Parlamento del Likud, a scapito dei suoi alleati di destra. Una strategia comunque pericolosa, per la quale non è detto che basti l’appoggio incondizionato, almeno per il momento, di Trump. Quest’ultimo deve affrontare le prossime elezioni di mid term e è probabile che una buona parte del suo elettorato non sia disposta a “morire per Gerusalemme”.
La situazione sta avendo riflessi negativi anche in Iran, dove si assiste a un progressivo rafforzamento delle fazioni estremiste, come peraltro prevedibile. Il presidente Hassan Rouhani, considerato un moderato nell’acceso scenario politico iraniano, è sotto un esplicito attacco da parte dei radicali. Alla fine di agosto, in una seduta trasmessa in TV dal vivo, il Parlamento ha votato contro la politica economica di Rouhani, ipotizzando perfino un suo possibile impeachment. La situazione economica del Paese è in effetti molto compromessa, date anche le sanzioni comminate dagli Stati Uniti, il “Grande Satana” secondo i radicali. Per il momento, Rouhani può contare sulla protezione del Leader Supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, preoccupato del possibile caos che provocherebbe la cacciata di Rouhani.
Si presenta quindi determinante l’atteggiamento degli altri Stati, in particolare dell’Unione Europea, per evitare il collasso economico e l’isolamento sul piano internazionale. Purtroppo, l’impressione è che dalle parti del Deep State molti pensino che l’attuale strategia porterà al desiderato collasso della teocrazia iraniana, ma, anche se ciò avvenisse e non è così certo, i costi sarebbero elevati per tutti.