La Corte di Cassazione si è di recente pronunciata su un caso molto delicato e che quasi certamente sarà destinato a far discutere. La Suprema Corte ha infatti assolto un medico di famiglia che si era rifiutato di visitare un suo paziente convinto che avesse un forte mal di testa. In realtà l’uomo sarebbe poi morto per aneurisma ma per i giudici la visita a domicilio del medico non avrebbe comunque assicurato la sopravvivenza del paziente. La vittima è un 30enne il quale accusava forte mal di testa accompagnato da dolori al collo e fotofobia ma nonostante le richieste della madre del ragazzo, per il medico si trattava di un comune mal di testa e per questo si era limitato a prescrivergli una terapia a base di aspirina e successivamente novalgina. Pochi giorni dopo però, l’uomo sarebbe morto per un aneurisma. Il medico era per questo finito davanti al tribunale penale e condannato per rifiuto di atti d’ufficio poiché fu accertato che si rifiutò di visitare a domicilio il paziente. Fu però assolto con formula piena dal reato di omicidio colposo. Il pm, l’imputato e la parte civile si rivolsero allora alla Corte d’Appello che assolse il medico estinguendo il reato di rifiuto di atti d’ufficio, caduto in prescrizione. La stessa Corte d’Appello rigettò anche il ricorso avanzato dalla parte civile in merito alla conferma della sentenza di assoluzione in primo grado per il reato di omicidio colposo portando il caso in Cassazione.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Con ordinanza 21008/2018 la Suprema Corte ha stabilito che la morte del 30enne non sarebbe comunque potuta essere evitata dal medico. In particolare, nella sua sentenza ha spiegato che il decesso fu causato da una ripresa del sanguinamento il giorno stesso della morte e che l’aneurisma era di piccole dimensioni e non trattabile. “Anche se il medico avesse tempestivamente eseguito la visita domiciliare, sulla scorta del criterio del più probabile che non, non avrebbe indirizzato immediatamente a cure specialistiche il paziente, a fronte di un quadro sintomatologico non immediatamente suggestivo per ESA e facilmente interpretabile per manifestazione di altra tipologia”. Inoltre, secondo la Cassazione, “pur individuato l’aneurisma sanguinante, non sarebbe stato possibile intervenire sull’origine del sanguinamento”. Dunque, il medico non avrebbe potuto far nulla per salvargli la vita. Certamente per i giudici la visita a domicilio avrebbe aumentato del 60% le possibilità di diagnosticare l’aneurisma ma non avrebbe permesso la sua buona risoluzione anche tramite trattamento chirurgico. Per questo, sempre secondo la Cassazione, non sarebbe stato l’inadempimento del medico di base a causare la morte del paziente.