Lira turca ai minimi record, aumento dei dazi americani sulle materie prime, titoli di stato turchi con rendimenti altissimi, oltre il 20 per cento, inflazione sopra il 10 per cento annuo. La Turchia preoccupa, ma Erdogan intende trasformare quello che reputa un attacco in un nuovo fattore di consenso. E se qualcuno — alla Casa Bianca — pensa di indebolirlo, dice dal suo punto di osservazione privilegiato Nihal Batdal, scrittrice turca, si sbaglia.
Che cosa sta accadendo in Turchia? E’ una crisi solo economica o anche politica?
La Turchia sta affrontando una crisi economica che per Erdogan è una guerra economica delle lobby occidentali e delle agenzie di rating contro il popolo turco. In Turchia la politica è ovunque, è determinante nelle scuole, nelle moschee e nelle banche. Per questo sarebbe impossibile leggere l’attuale situazione economica senza tenere in considerazione le scelte politiche del governo, sia quelle interne che quelle esterne.
Vediamo le prime.
Soprattutto dopo le elezioni del giugno (elezioni parlamentari e presidenziali del 24 giugno scorso, ndr) con le quali la Turchia è diventata ufficialmente una Repubblica presidenziale, si è resa possibile una concentrazione senza precedenti di ogni potere in un’unica persona. Una persona sola può decidere tutta l’economia del paese, potendo nominare anche il governatore della banca centrale.
E in politica estera?
Le scelte di Erdogan hanno causato una crisi diplomatica con gli Usa che a sua volta sì è trasformata in una vera crisi economica. L’arresto in Turchia del pastore americano Andrew Brunson con l’accusa del spionaggio, le sanzioni Usa ai ministri turchi, la decisione di Trump di raddoppiare i dazi sull’alluminio e sull’acciaio provenienti dalla Turchia ha fatto sì che la lira turca perdesse sempre di più sul dollaro. Comunque credo che questo litigio tra due membri storici della Nato dimostri l’esistenza di una scissione e faccia emergere sempre di più la crisi identitaria della Turchia.
In che modo questa crisi si collega al fallito colpo di Stato del 2016 e alla politica adottata da Erdogan nei due anni successivi?
Anche qui il discorso è socio-politico. Dopo il fallito golpe, Erdogan, con la scusa della sicurezza nazionale, ha cercato di eliminare tutti gli avversari. Anche chi ha denunciato l’andamento preoccupante dell’economia è stato accusato di essere un traditore. Nel paese regna una disinformazione completa, basti pensare che la stampa pro-Erdogan sostiene che l’America sia gelosa della crescita della lira turca.
Gli Usa hanno scelto di stare Fethullah Gülen contro Erdogan?
Gli Stati Uniti, e in particolare l’amministrazione Trump, stanno dove c’è un beneficio economico, non credo che si tratti una simpatia per l’uno o per l’altro. Poi, il rapporto tra la Turchia e l’America va sempre pensato in una prospettiva internazionale che tiene in considerazione i rapporti con Iran e Russia.
Quali sono gli errori di Erdogan?
Credere di potercela fare da solo e di risolvere tutto da solo. Questo è stato l’errore che gli ha fatto fare ulteriori errori.
Il presidente dovrà accettare l’aumento dei tassi e per evitare il default potrebbe dover chiedere aiuto al Fondo monetario internazionale. La crisi porterà ad una limitazione del suo potere?
Ma secondo lei il suo potere non è limitato già con il crescente debito privato oltre quello pubblico in valuta estera? La crisi non indebolisce Erdogan all’interno della Turchia. Loro hanno il dollaro ma noi abbiamo Allah, ripete. I suoi sostenitori saranno dalla sua parte anche se il paese va in default. Questo ovviamente è possibile grazie anche all’assenza di un’opposizione seria ed efficace.
Qual è la reazione della gente a quello che sta accadendo? Quali sensazioni prevalgono?
Nella maggioranza, per la quale la parola di Erdogan e indiscutibile, c’è preoccupazione ma prevale la fiducia. Fiducia in Allah, che è con il governo turco, e fiducia in lui, Erdogan. Chi invece vorrebbe capire davvero cosa sta succedendo, vive in una situazione di angoscia che deriva da ciò che non sa.
Che armi politiche ha Erdogan?
Ne ha una sola, il sostegno del suo popolo, insieme all’immagine infallibile di sé che è riuscito a creare. Tanto che la maggior parte dei suoi sostenitori separano idealmente Erdogan dall’Akp e dicono di votare per Erdogan ma non per il suo partito.
(Federico Ferraù)