Volevo scrivere di tutt’altro, oggi. E invece mi tocca parlare ancora del Governo. E non per paranoia, ma perché, temo, la sabbia nella clessidra politica a sua disposizione sta rapidamente finendo. A confermarlo, ieri, l’uomo che non più tardi di dieci giorni fa aveva lanciato l’allarme in un’intervista a Libero riguardo il rischio di un attacco speculativo contro l’Italia sul finire del mese in corso, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, numero due della Lega. In molti videro in quell’intervista il classico “segnale”, quasi un abboccamento verso i mercati. Invece, era allarme vero. A confermarlo, un’altra intervista con protagonista lo stesso Giorgetti, questa volta concessa domenica a Il Messaggero e ripresa con enfasi dall’agenzia di stampa finanziaria Bloomberg. E qui di messaggi in codice, di sottinteso, di detto e non detto, non ce ne sono proprio: qui è panico, puro.
L’uomo dei conti e del dialogo con mercati e classe produttiva del Paese non poteva essere più chiaro di così: spero che Draghi estenda la durata del Qe per proteggere il debito italiano da attacchi esterni. Poche parole, ma che cancellano settimane di cialtroneria e pressappochismo al potere, travestite come sempre accade in questi casi da tracotanza e spavalderia: una delle poche teste pensanti al governo chiede di fatto il soccorso della Bce. Quindi, dell’Europa. La stessa Banca centrale che Di Maio e Salvini accusarono lo scorso mese di maggio di intelligenza con il nemico (leggi, il Quirinale che bocciò la nomina del professor Savona al Mef), poiché a loro dire aveva smesso di acquistare Btp al fine di far strumentalmente alzare lo spread e così spaventare gli elettori e porre sotto pressione (concordata, a loro dire) il presidente Mattarella.
Peccato che, nelle stesse ore in cui addirittura il buon Di Maio si lanciava nella delirante richiesta di impeachment per il presidente della Repubblica, il Financial Times pubblicasse una tabella dalla quale si evinceva che proprio grazie alla liquidità garantita dagli acquisti di corporate bond della Bce, le principali aziende italiane avessero accumulato un sufficiente cuscinetto di liquidità per non patire proprio gli scossoni improvvisi dello spread. Ma si sa, è più facile fare retorica sui porti chiusi, le Ong e o la rimodulazione dei vitalizi spacciando queste mosse per rivoluzioni copernicane. Esattamente come adesso è facile (ancorché abbastanza vergognoso) cavalcare l’onda del dolore e dell’indignazione popolare per i fatti di Genova, paventando salvifiche nazionalizzazioni alla Maduro come via d’uscita dalla barbarie del mercato e del privato.
Peccato che poi, come dicevo nel mio articolo di ieri, salta sempre fuori il più puro che ti epura. E si scopre quindi che Matteo Salvini ha votato la cosiddetta “legge salva-Benetton” sulle concessioni, pur scaricando ovviamente la colpa su chi poi, alla luce di quel provvedimento, non ha vigilato. Ma si sa, la realtà è testarda. E, guarda caso, in perfetta contemporanea con le parole del leader, sempre Giancarlo Giorgetti rendeva noto a Repubblica che «il ritorno di Autostrade in mano pubblica non mi convince». A casa mia, quando su un argomento simile, non fosse altro per il carico emozionale e politico che il governo vuole attribuirgli, leader e vice sono in totale contrasto, non è un bel segnale. Per nulla.
Poi, l’intervista al Messaggero, prontamente ripresa da Bloomberg e da parecchi siti finanziari internazionali, Zerohedge in testa, con tanto di appello a Draghi affinché non blocchi il Qe. Insomma, si chiede al governatore uscente di compiere ciò che vi dico da mesi e mesi è nell’agenda delle principali Banche centrali, ovvero arrivare a un casus belli globale che permetta alla stamperia di mercato di continuare a sostenere l’insostenibile. Ovvero, la crescita a dismisura di debito pubblico e privato. Lo farà Draghi? Anzi, meglio chiedersi se ce la farà: perché il tempo stringe, anche quello del suo mandato. E, altra geniale intuizione di questo Governo di dilettanti allo sbaraglio, in un colpo solo ci siamo inimicati alla morte Germania, Francia e Spagna. Ma si sa, a palazzo Chigi noi abbiamo uno statista di primo livello (oltretutto, ex legale dei concessionari di Autostrade), mica una stella cadente come la Merkel o un parvenu come Macron o uno scappato di casa come Pedro Sanchez. Noi siamo “migliori amici” di Donald Trump, il quale sicuramente verrà in nostro soccorso.
E talmente è alto il grado di certezza al riguardo che Giancarlo Giorgetti in versione Leonardo Di Caprio sul finale di Titanic, si è rivolto (come è ovvio che sia, pur nella raggelante disperazione della mossa) alla Bce e non alla Fed, a Mario Draghi e non a Jerome Powell. Scommettete che, presto, toccherà rivolgersi a Juncker o Moscovici e non a Trump? La Merkel, poi, quella “vecchia babbiona”, ha appena stretto un patto proprio in chiave anti-aggressione economica Usa con Vladimir Putin, altro figurante della scena mondiale di fronte a un Metternich in erba come Toninelli o a un futuro Nobel dell’economia come Bagnai. Al quale, mi piacerebbe sottoporre, per fargli capire la ratio profonda e drammatica della mossa di Giorgetti, questo grafico: a vostro modo di vedere, cosa sta garantendo alla Polonia, come vedete indebitata in valuta estera al pari della giubilata e giubilante Turchia, di non finire preda della speculazione valutaria? Forse il far parte dell’Ue, pur non avendo l’euro?
D’altronde, ci hanno venduto per mesi il miracolo economico polacco (esattamente come quello ungherese), spacciando la balla dello zloty e del fiorino come chiavi di volta per crescere, mentre con l’euro si finisce come la Grecia. Peccato che si cresce indebitandosi in dollari e franchi svizzeri (quest’ultima, abitudine a cui i cittadini-correntisti dell’Est europeo hanno già pagato un prezzo altissimo a livello di mutui immobiliari pochi anni fa), pur avendo ratio debito/Pil da applausi: senza lo scudo politico dell’Unione, Varsavia starebbe accendendo i ceri in chiesa e scavando trincee, con quello che sta succedendo sui mercati emergenti, Ankara in testa, grazie alle mosse del “caro amico” Trump e della Fed. Vi rendete conto a che punto siamo? Ma, soprattutto, vi rendete conto a chi siamo in mano? Cosa ne pensano Conte, Di Maio e soprattutto Salvini dell’intervista di Giorgetti a Bloomberg? Soprattutto, al netto della visita a Mario Draghi del ministro e professor Savona, come mai il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non il sottoscritto che non conta nulla, ha sentito il bisogno di rilanciare un’intervista che, nei fatti, è una richiesta di aiuto bella e buona, avanzata oltretutto verso una persona che si è riempita fino all’altro giorno di contumelie e tacciata di complottismo anti-governativo?
Signori, questa gente ha preso il governo del Paese per una gita scolastica. O, peggio, per una campagna elettorale permanente finalizzata unicamente al raggiungimento dell’egemonia politica, nel caso della Lega addirittura platealmente. Peccato che poi ci si riduca così, a pietire l’aiuto delle stesse autorità che si è attaccato fino a un minuto prima, addossando loro colpe anche per il maltempo e la sconfitta della squadra del cuore, pur di non ammettere la propria incapacità (e malafede, in alcuni casi). Come andrà a finire? Chi lo sa, siamo nelle mani di tutti tranne che del governo del Paese, questa è a realtà. E, per una volta, si tratta di una buona notizia.