“Il Ponte Morandi è uno dei più studiati dalla letteratura scientifica internazionale, ma non sappiamo quale fosse il suo reale livello di danneggiamento interno”. E’ il tragico paradosso sottolineato da Marco di Prisco, ordinario di Tecnica delle costruzioni nel Politecnico di Milano, raggiunto dal Sussidiario poche ore dopo che il viadotto-simbolo dell’autostrada A10 si è sbriciolato ieri mattina piombando sugli edifici sottostanti e sul fiume Polcevera. Il bilancio è pesantissimo: 31 morti, 10 dispersi, 15 feriti di cui molti in gravi condizioni. “Nel mondo esiste un patrimonio di infrastrutture che è prossimo ai 50 anni di età: c’è un problema di rinnovamento infrastrutturale non solo in Italia, ma anche in Europa e in tutti i paesi industrializzati come Stati Uniti e Canada” dice di Prisco.
Possibile che non fosse chiaro lo stato della struttura?
Il monitoraggio era sicuramente attivo, ma il problema non è così semplice. Non siamo in grado di seguire l’evoluzione di una difettosità interna a un manufatto di queste dimensioni: è un limite della nostra ricerca. Ad oggi mancano gli strumenti per rilevarla. Questo ovviamente prescinde dal collasso specifico, che va studiato nelle sue peculiarità.
Il suo collega Antonio Brencich dell’Università di Genova ha parlato di una tecnologia obsoleta e di grande velocità nel degrado della struttura dovuto alla corrosione. Un ponte che andava sostituito.
Va detto che quel ponte è in una situazione ambientale molto difficile, tra le peggiori possibili, perché si trova esposto al degrado prodotto dalla salsedine, ricca di cloruri e solfati. Molte informazioni che sappiamo oggi, negli anni Sessanta non si conoscevano. La velocità e il progresso del danneggiamento è legato fortemente alla distanza dal mare: può sembrare incredibile, ma a volte 100 metri possono fare la differenza. L’intera comunità scientifica internazionale si è resa conto dell’urgente necessità di indagare le strutture esistenti per essere in grado di compiere le scelte più opportune al raggiungimento della vita prevista dal progettista per l’opera, all’atto della costruzione. Il prossimo Codice Modello Internazionale elaborato dalla Fib (Federazione Internazionale del Calcestruzzo Strutturale che raccoglie esperti da oltre 40 paesi in tutto il mondo, ndr), la cui uscita è prevista per il 2020, è proprio incentrato su questo obiettivo.
Cosa può dirci della tecnologia costruttiva? Sappiamo che è quella del calcestruzzo armato precompresso.
Il calcestruzzo ha il problema di resistere bene a compressione e poco a trazione. Vi sopperisce l’armatura lenta o la precompressione, che consiste nella pre- o post-tensione di un cavo di acciaio per imporre uno stato di compressione nel calcestruzzo. Si sfrutta lo stesso principio di quando si sposta una pila orizzontale di libri da uno scaffale a un altro: li si schiaccia, questo permette ai libri di rimanere a contatto sfruttando al massimo l’attrito e i libri non cadono. Se la precompressione è progettata e realizzata bene, nel calcestruzzo non ci sono fessure. E se non ci sono fessure, la struttura può resistere molto di più dei 50 anni che assumiamo come periodo minimo di ritorno per una struttura di questa portata, poiché le reazioni di ossidazione dell’acciaio non procedono.
E quindi?
Può essere che i copriferri della struttura — la distanza netta tra la superficie del cavo di precompressione e la superficie esterna della sezione — non fossero adeguati all’ambiente e l’acciaio abbia subìto nel tempo un processo di ossidazione. Ma ripeto, è una supposizione, non ho dati a supporto di questa ipotesi. Potrebbe essere stato anche un cedimento di uno strallo.
Alla luce di questi elementi, il ponte era o non era considerato critico?
Quanto alla durabilità era certamente considerato una delle opere più esposte. Ma per questo motivo era certamente monitorato. Resta il limite che le ho detto prima. E’ un paradosso, perché di questo ponte si sapeva molto, è uno dei ponti più studiati nella letteratura scientifica internazionale e la Società Autostrade lo teneva sotto controllo: ma qual era il suo reale stato interno? Non lo sappiamo.
In Italia questo è il quinto ponte a crollare in 5 anni: viadotto della tangenziale di Fossano, 18 aprile 2017; ponte 167 sull’autostrada A14 tra Loreto e Ancona Sud, 9 marzo 2017; cavalcavia sulla statale 36 ad Annone Brianza, 29 ottobre 2016; ponte di Carasco, 22 ottobre 2013. Come commenta?
Le ragioni dei crolli sono tutte diverse. Forse il crollo del Ponte Morandi potrebbe essere più simile a quello di Fossano, un viadotto con molti meno anni, una ventina, crollato sotto il solo peso proprio. Quando un ponte come quello dell’A10 crolla e non è sotto un carico rilevante, 30 automezzi su 200 metri, è verosimile che la causa sia da attribuire a un fenomeno di ossidazione che ha indebolito la struttura. La causa andrà verificata. Altri fattori possono aver concorso: il vento per esempio. Escludo che il fulmine sia stato decisivo.
Secondo lei si dovrebbe ricostruire il Ponte Morandi o cercare soluzioni alternative?
Bisogna andare a fondo del problema. Nel mondo ci sono viadotti esposti al mare, come il Ponte Morandi, che però sono in condizioni ottime. Quali sono i costi delle soluzioni alternative? Ci si mette di più a scavare gallerie e non è escluso che convenga farne più di una. Suppongo che la costruzione di un nuovo ponte potrebbe comunque risultare la soluzione più rapida.
E i grandi ponti in acciaio nordamericani? Potrebbero essere una soluzione?
Attenzione, perché come per la Torre Eiffel, il ponte in acciaio richiede una manutenzione ordinaria continua. Un ponte in calcestruzzo armato precompresso ha il vantaggio di proteggere con il calcestruzzo le armature in acciaio interne, mentre il ponte in acciaio esige una riverniciatura completa ogni 2-3 anni. Lo svantaggio della struttura in calcestruzzo è la difficoltà di controllare ovunque la penetrazione di agenti aggressivi i cui danneggiamenti non sono semplici da rilevare. Ci sono pro e contro da valutare. Va detto che oggi progettiamo anche la manutenzione e possiamo monitorare lo stato di salute delle strutture nei punti ritenuti più critici, anche con adeguati strumenti introdotti all’atto della costruzione. Inoltre il Codice Modello per le strutture in calcestruzzo ha posto l’accento sulla robustezza strutturale, che nel passato veniva affidata alla sensibilità del progettista, e oggi sta trovando una sistematizzazione normativa, grazie all’esperienza accumulata negli ultimi 50 anni. Tale concezione progettuale è mirata a proporzionare l’effetto alla causa: ovvero un danno locale non deve comportare il collasso di un’intera struttura.
(Federico Ferraù)