La missione in Cina del ministro Tria si svolgerà, stando alle previsioni, all’insegna del do ut des. E non può essere altrimenti. Il titolare del Tesoro, responsabile della vendita dei titoli di stato per coprire il debito pubblico (che non sta andando per il meglio), può offrire Btp; la controparte cinese risponderà con la “via della seta”. L’Italia è un partner importante, oltre che un Paese apprezzato e amato dai cinesi, ma quel che serve ai sogni neo-imperiali di Xi Jinping è ricostruire il mondo di Marco Polo, come lo chiama il politologo americano Robert Kaplan. Dunque, infrastrutture, ferrovie, porti (in modo particolare perché il Pireo non basta per colmare il Mediterraneo), energia e quant’altro. La Cina lo ha già dimostrato entrando quattro anni fa in Cdp reti. Ma l’Italia del no Tav, no Gronda e tutti gli altri no, che cos’ha da offrire?
Non ha avuto finora eco il grido di dolore rivolto da Paolo Savona a Vladimir Putin. Non solo, proprio mentre il ministro dei rapporti con l’Europa faceva appello a Mosca per sostenere il debito italiano contro gli speculatori, il Cremlino imponeva un limite agli acquisti di valuta forte in modo da difendere il rublo ai minimi da due anni.
E che dire, invece, di Donald Trump il quale, secondo la stampa italiana, potrebbe aiutare l’Italia contro gli speculatori (che sono per la verità quasi tutti americani)? Come può farlo il presidente Usa? Certo non ordinando di comprare Btp alla Federal Reserve che ha appena risposto picche alla sua richiesta di non aumentare i tassi d’interesse visto che le elezioni di medio termine sono alle porte. Gli Stati Uniti non hanno fondi sovrani, né banche di stato. The Donald potrebbe farlo direttamente, visto che proprio povero non è, tuttavia la maggior parte delle sue attività immobiliari sono ipotecate o hanno dovuto ricorrere all’amministrazione controllata. Insomma, nemmeno impiegando i propri risparmi potrebbe essere d’aiuto.
Dopo una settimana di esternazioni cervellotiche e di tentativi improbabili, il governo giallo-verde si trova al punto di partenza, cioè all’allarme suonato da Giancarlo Giorgetti il quale ha avvertito che una tempesta finanziaria è alle porte e l’autunno sarà caldo, anzi rovente. Se il plenipotenziario economico della Lega ha ragione, non si capisce perché il Governo, invece di lanciarsi in esoteriche esternazioni, non faccia l’unica cosa seria: riunirsi, discutere, trovare una linea tra le tante finora annunciate (magari basta anche un minimo comune denominatore) e rendere pubblico il tutto. Lorenzo Bini Smaghi, già membro del board della Bce, ha suggerito un consiglio dei ministri straordinario. Il presidente della Confindustria Boccia ha chiesto un incontro ufficiale, come quelli che si facevano una volta, soprattutto alla vigilia di scelte importanti. Magari anche le confederazioni sindacali finora in tutt’altre faccende (quali?) affaccendate, potrebbero fare lo stesso. Non si tratta di riesumare la concertazione, ma soltanto di conoscere che cosa ha davvero in mente il Governo. È esattamente quello che i mitici “mercati” si aspettano.
Le agenzie di rating pospongono le loro pagelle nel tentativo di sapere e di capire. La fuga di capitali che finora si è manifestata in modo preoccupante anche se meno consistente rispetto al 2011 sembra piuttosto un riposizionamento cautelativo che riguarda banche e investitori istituzionali stranieri, ma anche risparmiatori e operatori italiani. Lo si vede non solo dai dati sul Target2, il conto aperto presso la Bce, ma dalla bilancia corrente con l’estero, dalla riduzione della raccolta dei fondi e dall’aumento dei depositi a vista nelle banche (tutte operazioni che riguardano i risparmiatori nazionali, non gli gnomi di Zurigo).
Le domande alle quali rispondere sono chiare: qual è l’obiettivo che il Governo sceglie per il disavanzo pubblico? Meno dell’1 per cento come aveva scritto Pier Carlo Padoan? Il 2 per cento come è adesso a legislazione invariata? Un po’ meno del 3 o più del 3, magari scatenando una cagnara con l’Ue e usando il dramma dei migranti come arma di ricatto? Verrà confermato il pareggio tendenziale del bilancio pubblico (al netto delle spese straordinarie e per compensare il ciclo economico)? Il ministro Tria ha detto che non accetta la previsione di una crescita vicina all’1 per cento, la vuole spingere più in alto, verso due punti percentuali. Bene, ma come? Quel che si sa è di un piano per investimenti pubblici pari a 50 miliardi di euro. Non è chiaro in quanti anni, se comprende stanziamenti esistenti o se sono risorse aggiuntive e dove verranno recuperate.
E veniamo all’alfa e all’omega dell’alleanza Lega-5 Stelle: la flat tax e il reddito di cittadinanza. Nel primo caso sappiamo per certo che non sarà piatta, cioè non ci sarà una sola aliquota, ma non sappiamo se saranno due o tre aliquote e con quali percentuali. L’idea che si autofinanzi con la crescita è, nel migliori dei casi, un esercizio scolastico, quindi occorre indicare anche da dove verranno le coperture. Si era parlato di pace fiscale: a meno che non diventi un condono su vasta scala, potrà dare un gettito limitato. Tria aveva proposto di lasciar aumentare almeno in parte l’Iva, altri hanno evocato le solite accise (benzina e quant’altro). Il rischio è che quel che si dà con una mano venga tolto con l’altra e alla fine della fiera la pressione fiscale resti immutata. Tra gli obiettivi che il Governo deve annunciare, c’è proprio questo: quale sarà la percentuale di reddito nazionale prelevato con le imposte? Più o meno del 42 per cento attuale?
Infine il reddito di cittadinanza che (anch’esso) non è di cittadinanza perché si configura come un’indennità di disoccupazione allargata anche a chi non ha mai lavorato. La sua erogazione dipende dal funzionamento dei Centri per l’impiego e questo è corretto. Tuttavia per farli funzionare a dovere, anche se non proprio come le agenzie del lavoro tedesche, bisogna investire in uomini e strutture, quanto costerà? Sono risorse che s’aggiungono a quelle per l’assistenza. Saranno coperte o saranno a debito?
La risposta a tutti questi quesiti, alcuni dei quali molto specifici, verrà naturalmente solo con la Legge di bilancio. Tuttavia, siccome l’incertezza aumenta la percezione del rischio, già adesso il Governo dovrebbe indicare le linee guida e fornire le cifre fondamentali, quei numeretti che indicano il percorso di una politica economica. Potrebbe farlo Tria, ne ha facoltà; ma siccome ogni volta che parla viene smentito o rimbeccato da Di Maio e da Salvini, occorre una riunione del governo. Bini Smaghi ha ragione, forse dovrebbe aggiungere che tra le decisioni da prendere c’è proibire ai ministri l’uso dei social media, se non per ragioni strettamente personali.