L’11 agosto il Rossini Opera Festival (ROF), giunto alla trentanovesima edizione, è stato inaugurato con una nuova produzione di Ricciardo e Zoraide, opera che debuttò al San Carlo nel dicembre 1818 e appartiene, quindi, al fecondo periodo napoletano del compositore. È un’opera rappresentata raramente. In tempi moderni, è stata messa in scena a Pesaro nel 1990 e nel 1996 e al festival Rossini in Wildbad nel 2013. Ne esistono due registrazioni: una in studio del 1995 per l’etichetta Opera Rara e una live dal festival a Wildbad del 2013. In breve, non è uscita dal circuito rossiniano-pesarese.
Le ragioni sono molteplici. In primo luogo, un libretto farraginoso e di ardua comprensione, basato su un poema eroicomico del Settecento (il Ricciadetto di Nicolò Forteguerri). In secondo luogo, l’esigenza di tre tenori, con tre differenti registri vocali, nonché di un soprano e di un mezzo soprano o contralto di grande levatura. In terzo luogo, un’orchestra in buca e una banda in scena con conseguenti difficoltà di allestimento e aggravio dei costi. Ad aggiungere complicazioni la vicenda si sviluppa, durante le crociate, in un immaginario Regno di Nubia, tra deserti e mari, ma nella partitura non c’è alcuna evocazione paesaggistica, come sarebbe avvenuto un anno dopo ne La Donna del Lago in cui Rossini evoca in modo magistrale i laghi e le montagne scozzesi. In effetti, l’allestimento pesarese del 1990, ripreso nel 1996, (e firmato da Luca Ronconi) metteva in scena deserti dell’Etiopia meridionali e costumi africani, ma strideva con una scrittura musicale di “opera seria” con echi al teatro barocco.
Il regista (Marshall Pynkoski) e la coreografa sua moglie (Hannette Lajeneusse Zingg) e il resto del “team creativo” (Gerard Guaci, scene: Michael Gianfrancesco, costumi; Michelle Ramsay, luci) hanno tagliato la testa al toro e ambientato l’opera all’epoca e nel luogo dove è stata composta: quindi, una scena unica con praticabili tele dipinte per caratterizzare i vari ambienti e costumi di inizio Ottocento (particolarmente lussuosi quelli per le signore). Una scelta a mio avviso comprensibile e accettabile, dati il libretto e la partitura, ma giudicata troppo “tradizionale” e “conservatrice” da parte di una sezione, peraltro minoritaria, del pubblico che, al calar del sipario, ha fatto sentire il proprio dissenso.
Per quanto riguarda la parte musicale, l’orchestra sinfonica nazionale della Rai (guidata da Giacomo Sagripanti) e il coro del Teatro Ventidio Basso (condotto da Giovanni Farina) hanno dato il meglio di sé con una partitura studiata per l’occasione. Le eventuali debolezze della drammaturgia sono state ampiamente compensate dalle voci di un lavoro in cui ciascuno degli interpreti ha almeno una grande aria d’apertura, nonché duetti, terzetti e concertati come nella migliore tradizione del Rossini “napoletano”. Un elogio particolare a Pretty Yende che ha affrontato la lunga e difficile parte (Zoraide) nonostante un serio problema al legamento di un ginocchio (e un’operazione in vista al termine del ROF). Ottimo, come sempre, Juan Diego Flórez (Ricciardo). Sergey Romanovsky (Agorante, tiranno innamorato di Zoraide) è un solido bari-tenore, Xabier Anduaga (Ernesto, generale dei Crociati) completa il terzetto dei tenori con uno squillo limpido e un fraseggio accurato. Egregia Victoria Yarovaya nel ruolo di Zomira, gelosa moglie di Agorante.
Applausi a scena aperta ai cantanti. Non calorosissimi al termine.