Su un grande quotidiano come Repubblica (l’identificazione della testata rispetto ad altre può non essere significativa), ieri era possibile zoomare tre item. L’apertura di prima: “Lega e M5s volano al 60 per cento” (con primo piano alle pagine 2 e 3). Poi l’intera pagina 10: “Migranti, scintille Salvini-Asselborn. Il dialogo gelato da un merde alors“, corredato da un ritratto del ministro degli Esteri del Lussemburgo. A pagina 25 c’era infine un comunicato del Cdr del quotidiano: a riferire che ‘editore Gedi “ha prospettato ulteriori, pesanti interventi sul costo del lavoro giornalistico (a quanto filtra sarebbero confrontabili con il taglio retributivo del 30% prospettato pochi giorni fa dalla famiglia Berlusconi alla redazione del Giornale, ndr). I giornalisti di Repubblica collocano esplicitamente la loro vertenza sindacale sullo sfondo di “un attacco da parte della maggioranza di governo”; e affermano che la loro mobilitazione verso gli editori — le famiglie De Benedetti e Agnelli — è finalizzata a “preservare la qualità e il ruolo di Repubblica come garante del tessuto democratico del Paese”.
Sono dunque i colleghi stessi di Repubblica a suggerire un link fra tre notizie in evidenza sul loro giornale.
La prima dice che la maggioranza di governo — cinque mesi dopo il voto e dopo tre mesi di prime prove da parte del governo Conte — conta su un supporto da parte degli italiani ancora superiore ai numeri usciti dalle urne (in particolare la Lega avrebbe registrato un incremento del 60%).
Il secondo focus — già alla ribalta venerdì sera sui siti con un video leakato — dice che il vicepremier italiano si sarebbe nuovamente segnalato per uno stile politico descamisado alla Conferenza europea sulla sicurezza e l’immigrazione tenutasi a a Vienna. Non solo su Repubblica, l’editing di video e articoli induceva effettivamente a credere che l’imprecazione poco ministeriale fosse venuta dall’incorreggibile “barbaro” in carica a Roma. Invece chi ha “gelato il dialogo” à la Cambronne è stato“il ministro operaio più longevo della Ue, in lotta con Orbán”. Dai titoli non era facile neppure cogliere l’ingiuria sprezzante con cui “il ministro operaio” — anzi il “Jean-Claude Juncker socialista” — ha provato di chiudere la bocca a Salvini: “In Lussemburgo, caro signore, avevamo decine di migliaia di italiani, che sono venuti da migranti”. Il ministro degli Interni italiano, per la cronaca, stava ribadendo che una politica dell’accoglienza non seriamente gestita dall’Europa produce solo “nuovi schiavi”. Come, per intenderci, i minatori italiani immigrati – e sfruttati e morti, altro che accolti – nelle miniere di carbone ai confini del Lussemburo ancora pochi decenni fa. Ovviamente Salvini all’uscita non ha potuto fare a meno di trattare il Granducato come “un paradiso fiscale che in Europa non conta nulla”, naturalmente al di là del record Ue di banche (250) per milione di abitanti.
I 300 giornalisti abbondanti di Repubblica (che l’editore vorrebbe tagliare per un quarto) lamentano infine che il colpevole ultimo della loro crisi è ancora il governo gialloverde: che “la questione è politica”, si sarebbe detto negli anni 70, quando il salario era una “variabile indipendente”. Non per questo ai colleghi (tutti, compresi quelli del Giornale, che però non l’hanno buttata in politica) non deve andare la solidarietà professionale e sindacale di chiunque faccia questo mestiere, sempre incerto e complicato. Ma un ulteriore link d’attualità alle pagine di Repubblica riporta a un inusuale corsivo non domenicale del Fondatore. Eugenio Scalfari, pochi giorni fa, ha invitato il Pd a smetterla di avvitarsi attorno a un patetico Aventino; e se c’è un problema di democrazia in Italia (per Scalfari c’è), l’opposizione parlamentare ha un solo modo di risolverlo, nel proprio interesse e in quello del Paese: tornare a vincere le elezioni, al più presto. Se un giornale vende meno della metà delle copie di dieci anni fa e non riesce più a pagare i suoi giornalisti, non ha alternative rispetto a tornare ad riconquistare i propri lettori, sul suo mercato: esattamente come una forza politica non può che guadagnare o riguadagnare la fiducia dei suoi elettori. Ciascuno, naturalmente, in politica e nella media industry, deciderà se e come fare la sua parte.
Non hanno torto i giornalisti a interrogare il loro editore su come provvede l’azienda (privata e quotata in Borsa) di capitali, strategie e management adeguati. Meno leggibili — ed efficaci — appaiono gli inni a un assessore comunale di una cittadella offshore di banchieri ed eurocrati, presentato come “valoroso resistente europeo” contro il governo italiano e il difensore di migranti che alle porte della sua énclave-cassaforte non arriveranno mai. Mentre sarebbe il governo italiano ad evere l’obbligo – “democratico”, “europeo” – di far aver a editori e e giornalisti un “reddito di cittadinanza” che invece l’Europa (“lussemburghese”) quasi sicuramente negherà a milioni di giovani disoccupati. Quelli di un’Italia che i migranti li accoglie per davvero.
Ps: tutti i giornalisti italiani si sono rassicurati dal fatto che il Presidente della Repubblica vigila sulla libertà di stampa. Ma sbaglierebbero se pensassero che la crisi industriale dell’editoria giornalistica e la crisi di credibilità del loro lavoro possano essere risolti dal Quirinale. E neppure dal governo per decreto e con sussidi pubblici. All”Ilva stessa – che produce acciaio e mantiene un’intera provincia del Sud – è stato dato un futuro “accogliendo” un grande gruppo non europeo. Dal Mediterranego non arrivano solo i migranti da salvare. Arrivano anche investitori internazionali che possono salvare. Nel caso, anche i giornali, se l’Italia è rimasta a secco di editori e di giornalisti capaci di stare sul mercato dell’informazione e dell’opinione.