In un recente articolo sul Sussidiario, Fabio Accinelli ha ampiamente illustrato la strategia di investimento della Cina in Africa e le connessioni con la “Nuova Via della Seta” (“One Road One Belt Initiative”), un punto cardine della politica economica cinese. La già consistente presenza cinese in Africa verrà potenziata con nuovi e notevoli prestiti a governi e società africane, uniti al sostegno diretto delle società cinesi che investiranno in Africa. La contropartita sarà una sempre più massiccia penetrazione di prodotti cinesi nel continente e un sempre più forte accaparramento delle materie prime di cui l’Africa è ricca.
Data la sostanziale noncuranza dell’Occidente di fronte a questi importanti sviluppi, Accinelli si chiede giustamente se non sia opportuna, invece, una maggiore attenzione dell’Italia ai progetti di investimento cinesi. Tanto più che il nostro Paese ha una capacità di intervento nel settore delle infrastrutture riconosciuta a livello internazionale. Per la verità, se si guarda agli investimenti diretti nel continente, l’Italia è già ai primi posti, grazie anche all’estesa presenza dell’Eni, ma vi è ancora uno spazio rilevante, particolarmente per le medie e piccole imprese.
Sempre sul Sussidiario è apparso un altro articolo, a firma Giuseppe Pennisi, in cui si segnalano i pericoli nascosti nell’investire nella “Nuova Via della Seta”, a partire dall’opacità dei processi di appalto. Il punto di maggior criticità, però, è dato dal notevole asservimento delle strategie economiche a quelle geopolitiche, tipico del regime cinese. Come scrive Pennisi, quando si tratta con la Cina occorre tener ben presente che “non c’è programma o progetto che non sia mirato al tornaconto della élite al potere in quella specifica fase storico-politica”. E la Cina non è aliena da repentine e violente rivoluzioni.
Non vi è, a mio parere, contraddizione tra i due articoli, bensì complementarietà: le pur notevoli opportunità dal punto di vista economico devono essere accompagnate da un’attenta valutazione dei rischi, altrettanto notevoli, e devono essere sostenute da una seria e avveduta politica estera dello Stato.
Quest’ultimo è un punto dolente per l’Italia, la cui politica estera è spesso opaca o manchevole, e solo grandi imprese come l’Eni possono sopperire con una propria politica estera. La posizione dell’Italia, non solo geografica, la porta tuttavia a essere un crocevia delle tensioni che caratterizzano questo momento storico, di cui la Cina sta diventando sempre più protagonista.
La “One Road One Belt Initiative” non è l’unica intrapresa globale di Pechino. Il sito della CNBC, in collaborazione con il Financial Times, pubblica un’accurata analisi delle iniziative di Pechino in campo energetico. Il titolo è significativo: “China eyes role as world’s power supplier” (“La Cina guarda al ruolo di fornitore mondiale di energia”). Questa nuova iniziativa, sponsorizzata dal presidente Xi Jinping, è chiamata Global Energy Interconnection, un nome che ha già in sé l’obiettivo: creare la prima rete elettrica a livello globale, cioè mondiale. Il progetto è basato su una nuova tecnologia, Ultra high-voltage cable (Uhv), che permette di trasportare energia elettrica a lunga distanza con costi ridotti, giustificando così la costruzione di grandi centrali elettriche, in quanto assicura un conveniente smaltimento dei surplus produttivi rispetto ai bisogni locali. Questa tecnologia è stata messa a punto anche dalle europee Siemens e Abb, ma i cinesi sono stati i primi a utilizzarla industrialmente su larga scala, sul proprio territorio e nei Paesi limitrofi, come il Laos. Il consistente piano di investimenti prevede l’installazione, entro il 2020, di reti di distribuzione all’interno di vari Paesi per poi passare, con target 2030, all’interconnessione tra le reti in Asia, Europa e Africa.
Come per la “Nuova Via della Seta”, anche in questo caso sono evidenti le implicazioni geopolitiche e la definizione attribuita alla tecnologia impiegata di “missile balistico intercontinentale” non è forse limitata alla sola industria energetica. La definizione è di Liu Zhenya, grande sostenitore del progetto e presidente per un decennio di State Grid Corporation of China, la società statale cinese che detiene una quota del 35% nell’italiana Cdp Reti, insieme a partecipazioni nei gestori di reti in Portogallo e Grecia.
A quanto pare, la Cina è vicina, per citare un film di Bellocchio del 1967, a conferma della necessità di un’adeguata politica estera del nostro Paese, come risulta evidente dagli articoli citati all’inizio.