Chi comanda l’Italia? O meglio chi comanda in Italia? La questione del potere italico deve oggi rispondere contemporaneamente a entrambe queste domande. La circolazione delle classi politiche è da sempre non ristretta ai soli stati nazionali. Sino a quando dominava l’ancien régime, come ci ha insegnato Arno Mayer, questo era evidente perché l’aristocrazia non aveva nazione ma lignaggi e anche dopo la separazione del patrimonio del sovrano da quello dello Stato le genealogie araldiche o agnatiche, che dir si voglia, penetravano sin nei pori delle macchine di amministrazione e non solo di governo politico degli Stati. Ambasciatori, direttori generali dei ministeri, alti esponenti di un mondo bancario che, se scaturiva dalla proprietà privata, non poteva garantire la circolazione del capitale senza profonde omofilie con quei direttori, con quelle burocrazie che appartenevano anch’esse alla società ancestrale dei lignaggi. Per quanto riguardava poi il monopolio della forza esso era sì come il batter moneta e il raccoglier le imposte senza degli Stati moderni, ma quest’essenza conviveva con la doppia lealtà di lignaggio e capitava sempre, sino alla seconda guerra mondiale, che la stessa famiglia aristocratica combattesse in posizioni di comando su fronti opposti. Se si leggono le memorie dei generali americani, nella seconda guerra mondiale, prime fra tutte quelle del grande indimenticabile Patton, che pur recitava in ginocchio i classici latini dinanzi alle rovine di Cartagine, ebbene esse sono piene di stupore dinanzi a questo fenomeno tutto europeo, incomprensibile a chi veniva da uno Stato e da una nazione che non aveva avuto castelli e ponti levatoi e dove le ferrovie erano state costruite prima delle città.
Ora quel mondo di sublimi sprezzature, di insuperato snobismo è morto. In verità le classi politiche continuano ancora a formarsi e a circolare tra nazione e internazionalizzazione. Ma al posto dei lignaggi risalenti sino al Sacro Romano Impero ora vi sono gli allocati per merito politico di patronage o di omofilia castal-burocratica nelle organizzazioni economiche internazionali. Queste ultime non derivano né dal potere tradizionale, come era per le aristocrazie, né da quello carismatico, come era per le poliarchie democratiche a circolazione elettiva delle classi politiche, che è un fenomeno assai recente nella storia del mondo e che, mi perdonino i politologi, ancora facciamo fatica a comprendere.Tanto più in un periodo europeo come questo, quando tutte le macchine europee dei partiti sono appunto in crisi.
In Germania, il cuore economico e la macchina più potente delle risorse tecnocratiche a disposizione della grande piramide esoterica di Bruxelles e di Strasburgo, quei partiti allocatori tradizionali sono in crisi, contestati da forze sino a ora escluse da quel potere e che son nate dallo stesso ventre di quegli allocatori. Cristiano-democratici, cristiano-sociali, socialdemocratici che siano, sono in grande confusione e lotta fratricida, sino al punto da far balzare dinanzi agli occhi del popolo sovrano l’emblema del perché sovrano non è: ossia il capo dei servizi segreti tedeschi appeso alla finestra del linciaggio massmediatico.
Il ministro degli interni francese si è dimesso, una dimissione ben più importante di quella fru fru del ministro dell’ambiente, proprio per salvaguardare l’integrità dei servitori dello Stato che fanno capo al suo ministero. Una dimissione che la dice lunga, come quella del capo di stato maggiore de Villiers avvenuta appena una settimana dopo l’elezione del presidente “Jupiter” Macron che sta vedendo franare il suo gruppo parlamentare sotto i colpi degli insuccessi e degli ostacoli che alla sua azione pone quella parte della classe dirigente francese che intendeva condurre la guerra di posizione contro la Germania in Europa in tutt’altro modo (modello Fillon).
Non parliamo poi della Spagna, dove un governo nato minoritario vuol discutere alle Cortes dell'”aforamiento del Rey”: un caso evidente di suicidio giurisdizionale che rimarrà nella storia del costituzionalismo mondiale comparato. La monarchia spagnola, dobbiamo ricordarlo, è l’unico architrave che rimane a quello Stato plurinazionale che è la Spagna dilaniata dall’indipendentismo catalano, dal rancore basco, dalla stupidità del Partito popolare spagnolo e dalla corruzione generalizzata. Val la pena di notare, per fare un po’ di colore sulla circolazione internazionale delle élites, che Manuel Valls pare entri in competizione per Ciudadanos per far l’Alcalde di Barcellona per la sua doppia nazionalità francese e spagnola ed evidentemente per la sua doppia fede politica, socialista e di destra.
Sarebbe interessante continuare quest’analisi tra allocazione nazionale dal basso delle classi politiche e loro dipendenza non solo europeo-tecnocratica ma puramente geopolitica, da guerra fredda che non è mai finita, scalando montagne sui Balcani e andando su e giù per ponti diroccati (quello sulla Drina docet) per capire che al posto dell’aristocrazia, in quelle gole, in quei dirupi pieni di sangue e di foibe, si combatte ancora una guerra tra Russia e Usa.
Ma adesso siamo un po’ stanchi di camminare e quindi guardiamo all’Italia. Chi comanda l’Italia?
(1- continua)