Giornata piena di dati economici quella di ieri. Eurostat ha fatto sapere che nel secondo trimestre dell’anno il Pil nell’Eurozona è cresciuto dello 0,3%, mentre nell’Unione europea dello 0,4%. Ancora ieri, l’Istat ha invece comunicato che la stima preliminare per l’Italia è di un Pil al +0,2%. «Siamo nel trend di questa fase di “nuova normalità”, in base alla quale cresciamo in linea con quanto fa l’Europa, ma meno. È molto complicato, non certo impossibile, ripetere il dato dell’anno passato (+1,5%)», ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
Intanto gli Stati Uniti crescono molto di più dell’Europa (+4,1% in un anno nel secondo trimestre)…
Qualcuno comincia a temere che ci possa essere un rallentamento della crescita Usa. Se così fosse, rallenterebbe tutta l’Europa, Italia compresa. Nei mesi scorsi è infatti emerso uno scenario di crescita con sincronizzazione mondiale e siamo entranti in una fase di “nuova normalità” dopo la fine dell’abbondante liquidità data dall’azione delle Banche centrali. Per il momento le cose vanno avanti in questo modo e restiamo ancora privi di spinte decisive. Oltretutto l’export, che in passato è stato come una sorta di ciambella di salvataggio per i momenti difficili, in questa fase è meno resiliente.
Colpisce in ogni caso che l’Eurozona in un anno sia cresciuta del 2,1%, mentre l’Italia dell’1,1%: praticamente la metà. Si può colmare questo gap?
Avremmo dovuto certamente crescere più della media, non per altro quanto per tornare a una situazione di convergenza. L’Italia sta invece lentamente e continuamente perdendo terreno. In una corsa ciclistica si potrebbe dire che non solo il nostro Paese sta perdendo il contatto con chi è in testa, ma sta scivolando nel fondo del gruppo, salita dopo salita. Il problema adesso è lo spread inchiodato sopra i 230 punti base.
C’è da preoccuparsi?
Ovviamente sarebbe più preoccupante una brusca frenata del Pil. Tuttavia all’orizzonte c’è questo spread che in un momento tranquillissimo come quello attuale resta lì inchiodato: 230 punti base non sono pochi, considerando che in questo momento non è successo niente, c’è stato solo un gran rullar di tamburi, ma nulla di concreto. E il costo del debito pubblico più alto distoglie risorse che potrebbero essere utilizzate per la crescita. In buona sostanza siamo tutti in attesa della Legge di bilancio.
Per fare politiche di crescita bisognerà però andare oltre i vincoli di bilancio imposti e questo non farà altro che far salire ulteriormente lo spread…
Credo esista l’opportunità di varare un credibile piano di investimenti pubblici. L’economia italiana è liquida, più di un anno fa, nonostante esistano delle opportunità di impiego di investimento per i privati. Questo perché c’è ancora incertezza. Ecco perché c’è bisogno di un’azione pubblica. Esistono istituzioni comunitarie che possono, a condizioni politicamente concordate, mobilizzare risorse per investimenti. Non è un’ipotesi peregrina, soprattutto in un momento in cui l’Italia, forte del sostegno di un Paese in crescita come gli Usa, potrebbe trattare in condizioni migliori con Francia e Germania: un piano di investimenti perché il Paese inizi a crescere è nell’interesse di tutti.
Professore, sarebbe credibile un piano di investimenti pubblici di un Governo che mette in discussione la Tav e pare timido sulla Tap?
Lei ha citato due progetti che sono ormai altamente politicizzati. Gli investimenti pubblici possono comunque essere anche non infrastrutturali. Si potrebbe parlare di scuole che perdono pezzi, di pronto soccorso dove sia usa il cartone in ortopedia. Quelli in scuola e sanità sarebbero peraltro investimenti che darebbero un beneficio immediato ai cittadini. C’è un bisogno disperato di manutenzione del Paese: dalla scuola agli ospedali, fino all’ambiente.
(Lorenzo Torrisi)