Chissà se Berlusconi ha nostalgia dei bei tempi in cui ogni sua conversazione finiva nei retroscena dei giornaloni la mattina dopo, e il solerte Bonaiuti puntualmente smentiva i virgolettati presidenziali (che erano puntualmente verissimi, e confermati a reti unificate dai sempre indiscreti interlocutori del Cavaliere).
Del vertice domenicale di Arcore, invece, non è trapelato nulla, se non le dichiarazioni preventive di Salvini da Barbarella D’Urso: “sarà un incontro privato, coi Cinquestelle sto bene perché è gente seria, il governo durerà cinque anni”. Mancava che il capitano aggiungesse “passavo in Brianza per un battesimo, e do una bussata al nonno”. Che come tale è stato trattato: “i suoi consigli sono preziosi”, “ha fatto tante cose grandi da imprenditore e da politico”… Più chiaro di così si muore.
Ma cosa si sono mai detti i due alla presenza intuibilmente silente dei rispettivi numeri due Tajani e Giorgetti? Trapela che di Rai si è parlato poco o niente, e sarà vero: la Rai è il prezzo di uno scambio che il capitano pensava di limitare alla generica rassicurazione — questa sì trapelata — sul no della Lega al tetto pubblicitario. In realtà il vertice è stato solo interlocutorio, perché il Cavaliere ha parlato anche da politico e non solo da capo azienda come Salvini sperava. Berlusconi ha preteso due Regioni tra quelle chiamate al voto. Salvini ha detto sì, ma con la riserva di rifilargli poca roba, ed è qui che il dialogo si è raffreddato.
La sorpresa è stata un Tajani formato coniglio mannaro, come i Dc chiamavano Arnaldo Forlani. Il presidente dell’Europarlamento ha fatto capire che nemmeno Berlusconi può piegare la pretesa di Forza Italia di avere la guida del Piemonte, non foss’altro per interrompere il monocolore leghista del Nord (la Liguria non fa eccezione, perché i forzisti danno già Toti in carico alla Lega).
Salvini ha provato a offrire la Basilicata e la Sardegna, ottenendo di far infuriare non solo Tajani, ma pure il padrone di casa, che considera l’isola una prosecuzione del parco di Villa Certosa, e quindi cosa sua a prescindere. Quanto importa, poi, a Silvio della Basilicata? Forse appena più che a Di Maio, per il quale Matera è addirittura una provincia pugliese.
Apriti cielo, poi, quando i quattro di Arcore sono passati all’Abruzzo: sull’Adriatico Salvini vuol piantare la prima bandiera leghista del Sud, è incerto solo se puntare sul suo Bellachioma o su Fabrizio Di Stefano, un ex deputato forzista epurato dal coordinatore locale Nazario Pagano. Berlusconi rivendica l’Abruzzo, in prima battuta per il giovane deputato Antonio Martino, in subordine per l’ex ministro Gaetano Quagliariello, che avrebbe il merito di lasciare il suo collegio sicuro alla ex senatrice Paola Pelino, trombata alle ultime elezioni e parecchio nelle grazie di Arcore. C’è chi dice che sarebbe proprio la Pelino la vera carta del Cavaliere per l’Abruzzo, e che secondo copione i nomi in circolazione servono solo a preparare il campo.
Anche in Sardegna Salvini ha messo i puntini sulle “i”: no a Cappellacci, ça va sans dire, ma no anche a Pili, eurodeputato che Berlusconi vorrebbe riportare alla guida della Regione. Una mezza apertura la Lega la fa sul giovane consigliere Stefano Tunis, che piace molto anche a Berlusconi e potrebbe spuntarla sui contendenti più consumati.
Con un quadro ancora così confuso, il cammino di Foa verso la Rai è tutt’altro che in discesa. Tant’è che nella Lega avanza una diabolica tentazione: concordare con il Pd un diverso presidente della Rai e lasciare Forza Italia a decidere se appoggiare quattro governatori leghisti o correre in solitaria nelle regioni chiamate al voto.