I conti non tornano mai, e le Olimpiadi sono una vera e propria maledizione continua per le località geografiche dove passa e si svolgono. Di fatto, sono una vera e propria piaga biblica economica, bruciando soldi in spese astronomiche mai preventivate e non preventivabili. Alla domanda se un evento olimpico “faccia bene” al Paese che le ospita bisogna porre in essere una lettura economica nel merito. Di fondo esiste la realtà documentale per le esperienze passate che, per quanto siano mirabolanti le promesse fatte al momento della candidatura, il problema si evidenzi e venga dopo. Infatti, è storicamente accaduto che gli effetti benefici a livello economico siano sempre stati sovrastimati: quelli dei costi, invece, sottostimati. Lo stesso beneficio che dovrebbe nascere nel Paese ospitante, il cosiddetto “feel good effect”, lascia il tempo che trova.
Il primo step risulta essere il meccanismo della selezione alla partecipazione del Paese alla gara che farà il comitato politico, il quale prevede una serie di: analisi, piani, stime inerenti a costruzioni, impatto economico, sforzo di marketing, infrastrutture, export e posti di lavoro; ebbene solo queste analisi necessitanti per gareggiare sono costate, per fare un esempio a Chicago, tra i 70 e i 100 milioni di dollari. Statisticamente, considerando le ultime dieci edizioni delle Olimpiadi, il costo stimato è stato di molto superato dal costo effettivo, con in media uno sfasamento di oltre il 150%. Considerando le ultime 19 edizioni su 10 casi, lo sforamento è stato maggiore del 50%, in altri 9 casi ben oltre il 100%.
Ma perché un Paese vuole ospitare una Olimpiade? Innanzitutto vi è la politica che spinge ritenendo che, con una logica assolutamente errata, questi progetti facciano bene al Paese, senza considerare che è documentato come nel breve periodo le Olimpiadi siano in perdita, con benefici di lungo periodo non quantificabili perché sono documentabili le ricadute di lungo periodo in termini occupazionali, mentre quelli attinenti a soddisfazioni personali e/o di immagini non lo sono. Quindi non vi è nessuna metodologia scientifica che riesca a dimostrare un’efficacia delle Olimpiadi per i paesi che le ospitano. Inoltre l’ego del Paese partecipante è spesso spinto con candidature favorite dalle lobby industriali che sostengono direttamente la classe politica locale. Tanto che ultimamente vi è un cambiamento di indirizzo sulla procedura delle selezioni, che sarà formalizzata solamente a inviti, e quindi valutando rischi e opportunità politiche ed economiche e riducendo così il costo legato alla candidatura perché tutto dovrà passare al vaglio della sostenibilità con una più attiva attenzione alla corruzione e alla trasparenza.
Personalmente, quindi, vista la situazione odierna delle finanze pubbliche italiane, non solo il partecipare alla gara, ma anche la vittoria con l’assegnazione è sicuramente una cosa da non auspicare. Questo sforzo economico, in teoria, promette meraviglie per il Paese ospitante, ma bisogna stare con i piedi per terra. Se vogliamo dare delle cifre sull’impatto economico dei grandi eventi, un’analisi statistica/matematica e dettagliata sulle ultimi 10 edizioni indica che ci si avvicina alla realtà economica dei numeri dividendo le stime presentate all’inizio per 10! Questo anche perché è difficile, se non impossibile, stimare davvero il moltiplicatore di spesa sulla ricaduta economica globale del Paese ospitante.
Storicamente esiste solo un caso i cui ne è valsa la pena. Quello di Barcellona, dove il cosiddetto “effetto gemma nascosta”, ovvero la visibilità conquistata dai riflettori Olimpici, è stata gestita abilmente e con pieno successo, tanto ché la città, quando ha ospitato le Olimpiadi, nel 1992, era al 13mo posto nella graduatoria delle mete turistiche europee: dopo tale evento è balzata al quinto posto, oggi ancora mantenuto.