Quando vedo star male mio figlio, perché i polmoni sono così schiacciati da non permettergli di incamerare aria sufficiente; o quando l’epilessia lo attraversa fino a piegargli la bocca e le braccia e gli occhi, e nessuno può nulla, vorrei che tutto sparisse. Ci sono attimi in cui il dolore di chi ami è così devastante – ed è così ogni giorno, per anni e anni – che ne sei schiacciato. Alessandro è nato senza gran parte del cervello e una sfilza di “non” che pesava sui suoi giorni a venire: non parlerà, non vedrà, non camminerà, non mangerà per bocca. Non vivrà a lungo. Punto. Il buio ti si spalanca di fronte. E col buio, la paura.
Chi può giudicare? Chi può sapere quanta angoscia pesava sul cuore di Angela Manca, ieri, tanto da spingerla ad uccidere i suoi due figli disabili per poi spararsi?
“Io grido a te, ma tu non mi rispondi; insisto ma tu non mi dai retta”. Giobbe, figura biblica segnata da una sofferenza profondissima, urla. Domanda, accusa, chiede conto a Dio del male che patisce. Quante volte lo avrà fatto Angela? Quanti “perché” si sarà chiesta? E quanti “basta” avrà urlato? Dentro quali pianti strazianti avrà implorato di vedere un briciolo di luce.
Tempo fa, mentre con mia moglie passeggiavo in una strada appena fuori casa, spingendo Alessandro sulla sua carrozza luccicante, una signora anziana ci ha incrociati. Una donna solitaria, conosciuta come si conoscono un po’ tutti nei paesi piccoli. Si è fermata davanti alla carrozza e lo ha baciato. Lo accarezzava in continuazione e diceva: “Alessandro, caro”.
Nessuno smette di soffrire per una carezza. Ma è l’amore di certi gesti, di certi occhi, di certe braccia tese che ti aiutano ad attraversare il buio. Non saprei come guardare mio figlio se non fossi guardato io per primo come una cosa preziosa. Da mia moglie, dai miei figli, da mio padre e mia madre. Dai miei amici.
“Ora i miei occhi ti hanno veduto”, dice Giobbe quando finalmente Dio risponde al suo grido. Ma quali parole possono far dire così a un uomo che soffre? Non c’è parola o spiegazione che regga l’urto del dolore. C’è, invece, un Amore che arriva quando meno te l’aspetti, che incontri per strada, che ha la faccia di uno sconosciuto o di un collega. Qualcosa di atteso e presente che ci fa alzare meno stanchi, meno carichi di pena, più leggeri dentro la fatica. A questo Amore, ogni giorno bisogna decidere di abbandonarsi.