Faccio una doverosa premessa per il doppio ruolo che mi compete, essendo anche portavoce di Popolari & Progressisti. Questo al fine di evitare fraintendimenti, errate letture e conseguenti valutazioni così come attacchi subdoli e strumentali tipici sia dei sofisti di secoli fa, sia di forze politiche attuali. La premessa è anche una precisazione. Ventiquattrore prima della sua nomina a Ministro scrissi a Elsa Fornero, sapendo che in qualità di coordinatore scientifico del Cerp al Collegio Carlo Alberto di Torino avrebbe sicuramente utilizzato il lavoro fino ad allora compiuto per l’incipiente riforma delle pensioni. Le scrissi sulla necessaria gradualità riformatrice per alcuni rischi che mi risultarono evidenti per talune aree critiche dei rapporti elaborati. E le scrissi della necessità di “capovolgere la piramide” il cui vertice è rappresentato dalle cosiddette pensioni d’oro, avviando un’azione di riequilibrio utile ad affrontare per passi successivi il resto.
Irrilevante è qui la presentazione di una proposta che chiaramente non poteva allora trovare spazio, ma che fu dopo il problema dei primi esodati e dopo la caduta del Governo Monti il fulcro di Riformare la Riforma, peraltro pubblicato su queste pagine. Perché questa precisazione? Perché escludo che chi critichi la catenaria Boeri-Di Maio-D’Uva e Molinari (questi ultimi due, capigruppo alla Camera di 5stelle e Lega e autori del disegno di legge sulle pensioni d’oro) prenda posizione a favore della casta e contro ciò che nella relazione di accompagnamento del predetto disegno viene definito ispirato a principi di solidarietà, uguaglianza, razionalità, ecc. Considerando che di uguaglianza è fuor di luogo parlarne se s’intende quella di traguardo, avrei perplessità anche su quella delle condizioni di partenza. Per cui senz’altro solidarietà e ragionevolezza… anche se da questa, includendovi la proporzionalità, emerge il limite dei dilettanti.
La conferma è che si parli di pensioni minime e sociali (per l’esattezza assegni sociali) per le quali nessuno vuole dolersi di un riequilibrio (ci mancherebbe altro) finché per calcolo o per ignoranza… finta (o vera?) chi reclama questo riequilibrio pare voler costruire altro. Prima con i vitalizi (che non esistono dai tempi di Monti che li riformò, anche se più nella forma che nella sostanza) e poi con le pensioni d’oro assisto alla costruzione di un cavallo di Troia verso la cittadella previdenziale pura.
Che la politica sia l’arte del possibile che arrivi a far passare chi nel paniere mette le mele della previdenza con le pere dell’assistenza è tanto verosimile da giustificare l’istituzione di un Fondo ad hoc (previsto dal disegno di legge D’Uva-Molinari) non come gestione Inps, ma presso il ministero del Lavoro. Si noti inoltre che la base da acquisire nel ricalcolo appare sempre netta. Non vorrà per caso dire che alla tassazione della pensione ricca lorda si aggiungerà il taglio secco sulla netta a seguito del ricalcolo? Speriamo di no. Ma di cosa preoccuparsi visto che Di Maio e Boeri sono diventati compari come anticipato mesi fa sulle pagine di questa testata e confermato dal bell’articolo di Colombo sul Sole 24 Ore che spiega in modo chiaro le “technicalities” del predetto disegno di legge
Il taglio sugli assegni cambia a seconda dei pensionati presi in considerazione, ma è basato su una metodologia unica:?si moltiplica la quiescenza maturata con il metodo retributivo per il rapporto fra il coefficiente di trasformazione corrispondente all’età dell’assicurato al momento del ritiro con il coefficiente di trasformazione che corrisponde all’età prevista di pensionamento di vecchiaia. Questo vale per le nuove pensioni che partiranno dal 2019. Per quelle vigenti, invece, l’incisione cambia a seconda che il trattamento sia antecedente al gennaio 1996 (data di entrata in vigore della riforma Dini) o successivo. Nel primo caso la correzione attuariale avviene utilizzando i vecchi coefficienti di trasformazione, previsti dalla legge 335 e in vigore fino al 2009. Nel secondo caso ci si baserà invece su una tavola ricostruita delle età di pensionamento di vecchiaia scomputate degli adeguamenti alla speranza di vita, risalendo dal 2019 fino alla prima metà degli anni ’70.
Si tratta di una metodologia molto vicina a quella ri-evocata da Tito Boeri, in occasione della Relazione annuale Inps dei primi di luglio, quando aveva spiegato che, in risposta a una richiesta del presidente Roberto Fico, l’Istituto in collaborazione con Istat aveva stimato i coefficienti di trasformazione anche per gli anni ’70 e 080 e per età alla decorrenza inferiori ai 57 anni. Nella relazione illustrativa del progetto di legge non si fanno riferimenti a platee di soggetti che potrebbero essere interessati dall’incisione di una parte della pensione, né ai possibili risparmi. Ma secondo i proponenti si potrebbero raggiungere minori spese previdenziali per circa 500 milioni annui. C’è invece un’articolata argomentazione a favore del metodo di ricalcolo scelto che, secondo gli estensori, dovrebbe superare il vaglio costituzionale poiché conforme “ai principi di solidarietà, eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza” (Colombo).
Per concludere, come più volte asserito, la solidarietà e la ragionevolezza cui si riconosce validità in toto all’una e in parte all’altra (mettendo fuori uguaglianza e proporzionalità in quanto sofismi nominali e propagandistici) non possono che essere assunte con lo strumento fiscale diretto, circostanziato all’obiettivo come copertura di impegno di spesa, nonché vincolo temporaneo di bilancio di volta in volta verificato nel tempo.
Solo un ultimo aspetto resta inesplorato per mia ignoranza di cui chiedo venia ai pazienti lettori, ma al contempo lumi agli attivi attori del processo. Ma in commissione Lavoro e Previdenza le precedenti proposte, a partire da quella di Fedriga per finire a quella di Gnecchi, coesistono ancora in presenza del nuovo disegno di legge? Grazie.