Sono tante le Italie che si intrecciano tra i tendoni della Fiera del Mare di Genova per i funerali di diciannove delle quarantatré vittime finora accertate per il crollo del ponte Morandi. Ci sono le famiglie che si riconoscono nello Stato e che ne hanno accettato i funerali per i loro cari, ma c’è l’assenza di molte delle altre famiglie che hanno invece scelto il rito privato in aperta polemica con le istituzioni. C’è il cardinale cattolico che rappresenta un paese religiosamente ancorato alle tradizioni dei padri, che narra la resilienza dei genovesi, ma c’è pure l’imam islamico che rappresenta un paese in evoluzione e che evidenzia come il suono usato dal dialetto genovese per dire “Genova” in arabo significhi “la bella”, auspicando così che l’intera città si possa rialzare con fierezza. Ci sono poi i vigili del fuoco, icone sempreverdi di gente onesta che fa il proprio dovere ovunque e comunque, ma ci sono anche i vertici di Autostrade duramente sotto accusa per la presunta leggerezza nella gestione del viadotto crollato. C’è il presidente della Repubblica accolto come un padre dai famigliari delle vittime, ma c’è anche il tandem di governo Salvini-Di Maio, che poco più di due mesi fa ha avuto uno scontro molto acceso con lo stesso Mattarella e che ora, invece, condivide con il presidente l’immagine di uno Stato presente che non molla.
Ci sono i nomi dei tanti cittadini italiani morti sotto il ponte, ma ci sono anche i nomi degli stranieri che durante il rito sono frammischiati a quelli dei nostri connazionali in una sorta di ius soli de facto tacitamente approvato da tutti. Ci sono poi i giocatori di Samp e Genoa che entrano silenziosi a rendere omaggio alle vittime, simbolo di una nazione in lutto, ma ci sono pure le polemiche per un campionato di calcio che sei ore dopo inizia quasi come se nulla fosse. Ci sono tanti bambini desiderosi di futuro, appartenenti alla Genova popolare e mediterranea, ma c’è anche la bara bianca del piccolo Samuele che futuro non ha più e che il cardinal Bagnasco, con grande umanità, va ad incensare per prima al momento del saluto finale.
Ci sono, infine, i tanti che una casa non hanno più perché sfollati, arrabbiati e delusi, e i tanti che, al contrario, torneranno alle loro case tra un traffico già insostenibile per una città divisa anche geograficamente in due, sospettosi e pessimisti rispetto all’avvenire.
Tante Italie vanno dunque in scena in questo fine di settimana, che rappresenta anche la fine dell’estate per tanti che lunedì torneranno a lavorare. Nessuno sa quale di queste Italie prevarrà e tutti stanno a guardare, aspettando di capire quale fattore avrà il sopravvento sugli altri. Fino a dieci giorni fa le cronache parlavano di un “cigno nero”, l’evento inatteso che avrebbe potuto alimentare una tempesta economica sul nostro paese. Il cigno nero c’è stato, ma l’economia c’entra poco o nulla: il crollo del ponte ha inaspettatamente aperto una fase nuova, dove le domande e le questioni di sempre diventano urgenti, un cigno sociale ed esistenziale che ci riguarda tutti.
Sotto il cielo di Genova, un cielo che d’improvviso è diventato rappresentativo di un’intera nazione, si ha così sempre più bisogno di capire quali saranno le forze capaci di cambiare questa storia, la nostra storia. Quali saranno, insomma, le forze che potranno, ancora e di nuovo, renderci felici.