Il suo sogno è realizzare una bistecca alla Fiorentina o un filet Mignon. Ma nella coltivazione in vitro di carne, il taglio “di spessore” non è ancora realtà e dalle 10mila cellule cresciute in bioreattore si ottengono delle striscioline di carne adatte solo per formare un hamburger. Il papà della carne ingegnerizzata è un medico olandese, docente di fisiologia all’Università di Maastricht che entrò in corsa nel progetto di ricerca sulla carne di manzo senza bovino avviato dal Ministero dell’Agricoltura olandese nel lontano 2004. Mark Post di passaggio a Milano in occasione dell’inaugurazione della facoltà italiana della Singularity University, l’alma mater fondata da tech-guru di Silicon Valley per orientare manager e imprenditori nella governance delle tecnologie esponenziali che s’impongono in svariati ambiti – dall’educazione alle catene di montaggio delle fabbriche, alle emergenze umanitarie -, racconta al Sussidiario la sua avventura nella coltura tissutale che dai laboratori universitari è approdata alla dimensione di startup. “Sono un medico e il mio compito è curare e salvare. Il paziente in questo caso è il pianeta sotto stress per effetto dell’adozione da parte di fasce di popolazioni sempre più ampie di un regime alimentare eccessivamente ricco in proteine da bestiame”.
La Fao, Food and Agricultural Organisation, stima che entro il 2050 per sfamare 9,6 miliardi di persone ci sarà un’impennata del 70% della richiesta di prodotti animali. “È noto che il bestiame genera più gas serra rispetto ad altre fonti alimentari (14,5% di tutte le emissioni antropogeniche NdR), la zootecnica intensiva è causa di deforestazione, consuma molta acqua e con l’intensificarsi di malattie esige ingenti quantità di antibiotici”, spiega Post. “Senza considerare la bassissima intensità produttiva di conversione: solo il 15% di un bovino si trasforma in tagli commerciali mentre è del 50% nella carne coltivata”. Il cui costo però è proibitivo? “Siamo passati dai 330 mila dollari del prototipo di hamburger degustato in mondovisione nel maggio 2013 agli attuali 11 dollari”, spiega Post che ha fondato a Maastricht la startup Mosa ricevendo 7,5 milioni di fondi da investitori tra cui la casa farmaceutica tedesca Merck e il gruppo alimentare elvetico Bell. “Da una dimensione sperimentale si è passati a produzioni sempre contenute, ma più significative scalando il processo di coltivazione di fili muscolari equivalenti a circa 200kg di carne mensile. L’obiettivo è abbattere il costo aumentando la capienza dei reattori: 25mila litri all’interno dei quali trilioni di cellule mantenute costantemente a 38° ricevono nutrienti. La produzione salirebbe a 400 mila kg di carne all’anno”.
Tra le diverse le sfide incontrate dal professor Post, una era come stimolare la maturazione delle fibre muscolari visto che queste maturano molto meglio con una loro contrazione. I ricercatori del laboratorio di Mark hanno scoperto che la semina di cellule muscolari attorno a un cilindro di gel permetteva alle cellule di creare una fibra a forma di anello, che successivamente era in grado di assicurare uno spasmo benefico per la crescita.
Seppur ancora a livello di modesta nicchia – cosa rappresentano 5milioni di hamburger all’anno? – la fabbricazione di carne coltivata segue una progressione interessante. Per entrare in produzione il bioreattore ha bisogno di 8 settimane per sfornare il primo hamburger, ma a partire da quella data la riproduzione di cellule è esponenziale. Questa importante innovazione in campo alimentare richiede spazio limitato, favorisce il km zero (la produzione può avvenire dentro centri urbani), è a bassa intensità di lavoro e moderato consumo di energia per mantenere la temperatura.
La carne senza origine animale assolve la coscienza dei vegetariani, aiuta gli ambientalisti ad abbassare l’impronta di carbonio e neutralizza le preoccupazioni dei salutisti. L’Organizzazione mondiale della salute raccomanda di non superare 300 grammi di proteine della carne alla settimana per abbassare i rischi cardiovascolari, ma nuove ricerche indicano un’associazione tra il consumo di carne rossa e l’insorgenza di tumori al colon-retto (anche se non è ancora chiaro quale componente ne sia responsabile).
In prospettiva la bellezza di un mondo senza macelli porterebbe però un colpo al valore socio-culturale delle produzioni locali da distinguere dagli allevamenti intensivi. La preoccupa? “In tutta sincerità, fonti alternative come legumi e frutta secca possono benissimo assicurare l’apporto proteico, ma la carne in vitro è un’opzione in più per introdurre variazioni in una dieta sostenibile e salutare”, riconosce Post, pratico della questione avendo una figlia vegetariana. “L’impatto più profondo lo avrà l’agricoltura per la produzione di foraggi. L’alimentazione per gli animali rappresenta un volume di affari 5 volte quello delle coltivazioni destinate agli umani”.
La carne in vitro è una delle più importanti innovazioni in campo alimentare del prossimo futuro e anche una promessa allineata con il sentire comune. “Tra 20 anni i nostri figli si chiederanno: possibile che i nostri genitori mangiassero animali? Certo non è ancora mainstream, ma oggi sono 27 le startup in campo (NdR anche Bill Gates e Sergey Brin co-fondatore di Google tra gli investitori) e si sono formate delle specializzazioni: pollame piuttosto che manzo e pecora.
Quando arriverà in commercio? “Non prima della fine dell’anno prossimo. Sono in corso le autorizzazioni delle autorità di controllo per la sicurezza alimentare”. Sembra fantascienza, ma la produzione di carne senza animali aveva già 88 anni fa un impensabile sostenitore. Correva l’anno 1931 e Winston Churchill espresse il suo sconcerto in merito all’assurdità di allevare un intero pollo per mangiarne una coscia o un’ala. “Non sarebbe più logico – profetizzò nel saggio Fifty Years Hence (Da qui ai prossimi 50 anni) – far crescere ogni parte separatamente?”. La nascita della chimica sintetica rendeva i suoi propositi avveniristici ma non inverosimili. Poi la sfida l’ha presa sul serio Mark Post.