È dello scorso agosto la firma da parte del Presidente russo Vladimir Putin su un pacchetto di leggi istituende due zone “onshore-offshore”. Trattasi, in parole povere, di due paradisi fiscali inseriti nel contesto dei confini della Federazione russa: l’isola Oktjabrskij nella semiexclave Kaliningrad, la regione più occidentale, e l’isola Russkij al largo di Vladivostok nel territorio di Primorskij, Estremo Oriente Russo. L’obiettivo da parte di Putin è chiaro e di facile lettura: rendere dannose al minimo le conseguenze delle sanzioni imposte dai paesi occidentali con la promozione del ritorno dei capitali in Russia.
D’altro canto dell’apertura “in casa” di paradisi fiscali se ne parlava da molto tempo, ma il dossier è divenuto di primaria importanza dovendo aiutare le aziende della Federazione colpite dalle sanzioni statunitensi e quindi velocizzando e incentivando il ritorno dei loro capitali esteri in territorio russo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta lo scorso 6 aprile, quando il Dipartimento statunitense del Tesoro ha pubblicato il nome di 38 imprenditori, oltre funzionari e aziende, nella lista dei soggetti russi attenzionati dal governo Usa per “attività ostili” con la conseguenza per tutti di vedersi applicate nuove misure sanzionatorie.
Nel dettaglio, nelle due isole offshore nei confini della Federazione le aziende russe sono di fatto trattate come fossero aziende straniere e quindi esentate dal pagamento di qualsivoglia tassa. Verranno tassati solo i profitti generati in territorio russo. A salvare la faccia, solo in apparenza, è stata la Banca centrale russa che, obtorto collo, ha dichiarato che vi sono preoccupazioni potendo diventare, nel tempo, le due zone offshore dei veri e propri buchi neri atti al riciclaggio e all’evasione fiscale. In tutto ciò, i due paradisi fiscali hanno un primo cliente nella persona giuridica della Finvision Holdings Limited, prima azionista della Vostochnyj Bank, principale banca in Estremo Oriente.
È interessante notare come tale società prima fosse registrata a Cipro, e quindi si è trasferita , armi e bagagli, in brevissimo tempo nel distretto amministrativo speciale del Territorio di Primorkij. A dare tale annuncio all’agenzia di stampa russa Ria Novosti è stato Denis Tikhonov, Ceo dell’Ente per lo sviluppo dell’Estremo Oriente che gestisce, di fatto e in piena autonomia, la zona offshore. A tutto ciò si unisce la realtà dei nuovi paradisi fiscali ad aliquote “0” dell’Est Europa, e ciò dopo la guerra posta in essere dall’Ue verso le isole di Man, di Jersey e Guernsey, Andorra, San Marino, Liechtenstein, Olanda e Irlanda.
Diamo un po’ di “numeri”: in Ungheria il gruppo tedesco Bosch versa il 3,69 % su un giro d’affari complessivo di 1,4 miliardi; il gruppo Audi paga lo 0% sui suoi 8,3 miliardi di euro di ricavi; la società finanziaria della General Electric paga lo 0,0024% sui suoi 9,1 miliardi di euro di ricavi. In Bulgaria è interessante (sorprendente) notare come le prime 10 grandi imprese nel Paese fatturino un quarto del reddito nazionale pagando imposte per lo 0,2%. In Repubblica ceca il più grande subfornitore taiwanese di Apple, la società Foxconn, paga il 6,98% sui suoi oltre 5 miliardi di euro di ricavi.
Questi brevi dati ci fanno ritornare all’ultimo G20, dove le prime economie del mondo hanno dichiarato il loro impegno per l’equità fiscale, la solidità strutturale di bilancio, e guerra alle disuguaglianze e, sentite sentite, all’elusione fiscale, dove con tale termine si intende la volontà di aggirare una norma tributaria indirizzata al ridurre e/o eliminare del tutto l’onere fiscale di pertinenza in esso sancito. A differenza dell’evasione, l’elusione applica elaborate operazioni contrattuali, peraltro previste e predisposte nel rispetto della legge del Paese ove si produce reddito.
Un altro punto interessante su cui porre la nostra attenzione è che, oggi come oggi, l’Ue, sollevata la coperta polverosa di perbenismo che la copre, prende sempre di più la parvenza di un “club”nel quale esiste una concorrenza fiscale tra gli stessi governi, causando una lotta tra chi alla fine riesce a offrire i maggiori favori economico-fiscale-finanziari, ritagliati su misura per poche e grandi multinazionali, e ciò a discapito e carico dei propri cittadini.