Non si può certo dire che l’Italia si faccia mancare nulla. Alcuni anni or sono il Pd, una tra le bestie più strane che la Natura abbia mai partorito insieme con l’unicorno, il drago e la chimera, ebbe la ventura di farsi guidare dal mitico VeltroniWalter. Nel tentativo di fondere da sinistra il vecchio zoccolo duro del comunismo con il cattolicesimo democratico, si celebrò un congresso all’insegna del famoso “I care” di kennediana memoria. Siccome però la storia si ripete sì, ma di solito traducendosi in commedia e poi, per darwiniana evoluzione, in farsa, tramutammo il kennedissimo “I care” (“mi importa”) in un italiota “l’uno e l’altro”.
Comunismo e Capitalismo? Perché scegliere: per noi l’uno e l’altro devono convivere. Cristo e Marx: probabilmente avevano entrambi la barba e dunque devono stare insieme. Liberismo e operaismo: sono praticamente uguali e quindi li imbarchiamo entrambi nella nuova sinistra. Insomma, pur di non scegliere, scegliamo di sommare le pere con le mele; i cavoli con le merende; i lupi, i cavoli e le capre nella stessa barca.
I risultati politici di quella straordinaria intuizione si vedono oggi. Nel senso che basta ripensare a quella stagione per spiegare le attuali percentuali da prefisso telefonico del Pd e per chiedersi perché oggi il popolo, il proletariato, gli operai, si fiondano come matti su Salvini o su Grillo. Dite: era Veltroni, e capirai cosa potevi cavarne. Macché. Il fatto è che noi italiani abbiamo alcuni capisaldi ai quali non rinunciamo mai. 1) Il primo è “tengo famiglia”, motto guida in saecula saeculorum del maschio italiano medio. 2) Il secondo, derivato del primo, è “o Franza o Spagna (NdR: oggi diremmo “o Bruxelles o Mosca/Pechino”), pur che se magna”. 3) Il terzo è “facimmu ammuina”, perché tutto cambi senza che nulla cambi.
Se ancora qualche lettore è rimasto dopo sì lungo sproloquio fatto in barba a tutti i sacri dettami del manuale del buon giornalista che ti viene propinato dall’Ordine sì da giustificare la sua esistenza (in ossequio al dettato del punto 1 di cui sopra), il porello comprenderà bene perché solo così possiamo spiegare il fatto che dopo il Jobs Act si sia deciso di rifinanziare la Cassa integrazione guadagni. Datosi che tutto deve sommarsi, ne deriviamo che scegliere e mettere in opera sono due disgrazie, implicando esse una dimostrazione di capacità e di attitudine al governo e all’amministrazione che potrebbe essere fonte di seri problemi.
Or dunque. Il Governo ha deciso di prorogare all’intero 2019 il finanziamento degli ammortizzatori sociali destinati alle imprese che di fatto vanno verso la cessazione delle attività. In pratica si finanziano per un anno le posizioni di quei lavoratori che non hanno reddito, non hanno lavoro, dipendendo da una azienda decotta, morta. Sì lo so, a qualcuno vengono in mente gli schiamazzi di quando gli attuali governanti erano all’opposizione: ma non è che quando gli attuali oppositori erano al governo fossero più coerenti. Ognuno si barcamena come può (secondo il criterio n. 3 del buon italiano elencato qui sopra).
E in ogni caso il rifinanziamento della Cig non ha sostituito ma ha affiancato il core business del Jobs Act, cioè le politiche attive: in Italia noi ci possiamo permettere di finanziare le politiche attive, la Cig, il reddito di cittadinanza, l’evasione fiscale (pardon, la pace fiscale). Secondo il ben noto modello veltroniano, appunto.
D’accordo è stato ripristinato uno strumento vecchio, ma, oggettivamente, datosi che i Centri per l’impiego saranno finanziati per due miliardi (cioè sarà assunta nuova gente? Avete idea di quanto tempo ci vuole per indire un concorso, espletarlo, formare la gente, avere risultati dal loro lavoro?), ma nel frattempo non ti troverebbero un lavoro neppure se fossimo nel ricchissimo granducato di Lussemburgo; datosi che la gran parte degli operatori dei suddetti Centri sta ancora cercando di capire cosa significa “Politiche attive per il lavoro”; datosi che la parola Jobs Act provoca negli attuali nostri governanti la stessa reazione fisica che il Demonio al Santo Padre; insomma, datosi che, criterio 1 di cui sopra, bisogna anzitutto rispondere alla realtà, e la realtà è la gente che non sa come sbarcare il lunario, meglio ripristinare uno strumento desueto, vecchio, mal messo ma esistente, rispetto a un fantasma, bellissimo per carità, ma che a quanto pare nessuno vuole richiamare dall’Oltretomba.
C’è del buono, senza ironia, in questa scelta: se non altro si tratta di uno strumento in più a disposizione dei lavoratori che altrimenti starebbero a casa in caso di cessazioni di attività. Si torna indietro rispetto al Jobs Act ? Sì: ma solo se fosse vero che il Jobs Act è mai partito. In realtà il treno del Jobs act non si è mai mosso dalla stazione. Lo hanno allestito, abbellito, celebrato, perfino inaugurato. Ma senza che abbia mai mosso mezzo giro di ruota. Scelta politica anche questa? Magari fosse così. Purtroppo invece temiamo che si tratti dell’ennesima conseguenza del criterio temporale che guida noi abitanti del più Bel Paese al mondo: siamo così intrisi di cattolicesimo (interpretato come lo vogliamo noi, sia chiaro), che qui nella Penisola il tempo è misurabile solo in termini di infinito. Nel senso che prima di realizzare qualunque cosa, abbiamo bisogno di quei 10/15 anni che ci consentono di capire se i criteri 1, 2 e 3 vengono rispettati. Vedi mai che dobbiamo adeguarci a qualcosa di inedito e pericoloso.