“Autostrade non sa fare i controlli”, dice in sostanza la commissione del ministero dei Trasporti nella sua prima relazione sul disastro del Ponte Morandi. Peccato lo dica nello stesso giorno in cui si evidenzia come il Governo non sappia fare i decreti, ma l’osservazione è peregrina, due cose cattive non ne fanno una buona. Piuttosto, questo faticoso e accidentato evolversi delle procedure per la ricostruzione del ponte genovese e per l’accertamento delle responsabilità lasciano tutti noi non solo frastornati ma anche vivamente allarmati.
Il passaggio più inquietante nel documento governativo è quello in cui si evidenzia come “la procedura di sicurezza strutturale” di Autostrade “è stata in passato ed è tuttora inadatta al fine di prevenire i crolli e del tutto insufficiente per la stima della sicurezza nei confronti del collasso”. Avete letto bene? La procedura di sicurezza strutturale, scrive il ministero, “è tuttora inadatta al fine di prevenire i crolli”. Significa che, per quanto se ne può sapere e per quel che si può prevedere e prevenire, le procedure applicate oggi non ci garantiscono nulla. Ogni viadotto allora può essere a rischio. Questo scrive il ministero, non lo scemo del villaggio. La possibilità che sia vero è per definizione molto alta. E allora? E noi?
Leggiamo ancora: questa procedura inadatta “era applicata al viadotto Polcevera ed è ancora applicata all’intera rete” in concessione ad Autostrade per l’Italia. La quale, oltretutto, risulta “incapace di gestire le problematiche connesse all’invecchiamento delle opere affidategli dalle Convenzione”. Un verdetto severissimo, che certamente Autostrade dovrà tentare di confutare, se vorrà conservare un minimo di credibilità come gestore, difendere il proprio ruolo sulle tratte che gestisce da concessionaria, preparare argomenti da spendere quando, in qualche modo, arriverà al pettine il nodo della revoca della concessione, sul quale certamente i migliori giuristi d’Italia daranno battaglia in quelle sedi relativamente protette dal dibattito politico e dal rumore di fondo dei social che sono le aule di tribunale.
Due cose si possono già dire, però: la prima è che a fronte di una diagnosi così severa, non si vede come il Governo e il ministero possano nei tempi doverosamente istantanei che ci si aspetterebbe costringere Autostrade a fare le verifiche che la relazione afferma non essere in grado di fare, oppure farle in sua vece; la seconda è che comunque vada, la bega delle indagini, dell’identificazione dei colpevoli e della ricostruzione, sarà un insuccesso. Perché tanto pessimismo? Per varie ragioni:
1) L’inefficienza della magistratura, irriformabile perché autogovernata e refrattaria a qualunque autocritica, è sempre alla base di tutte le disfunzioni del sistema Italia. Di fronte a 43 morti e a gravissime ipotesi di reato, l’inchiesta ministeriale dovrebbe andare a rimorchio di quella giudiziaria, di cui non si ha notizia salvo avere la certezza che non arriverà a sentenza prima di qualche anno, più dieci che cinque.
2) L’errore di impostazione delle concessioni. Una concessione viene affidata nominalmente a una società ma sostanzialmente a un gruppo dirigente. È con il gruppo dirigente della società concessionaria che bisogna prendersela, non con la società in sé, che al suo interno ha decine di migliaia di soggetti – dipendenti, soci di minoranza, fornitori – che non c’entrano un bel niente con il dramma di Genova. In teoria, a difenderli dovrebbe provvedere la cosiddetta “clausola sociale” che si applica a molti contratti tra pubblico e privato e anche tra privati, per cui ad esempio se Telecom sposta una commessa di call center da un gestore all’altro, il subentrante deve rilevare dal cedente tutto il personale che serviva a gestire quella commessa. Ma oggi Autostrade per l’Italia è confluita (è stata lasciata confluire dalle autorità pubbliche!) in una grande società quotata, Atlantia, che fa tante altre cose con tanti dipendenti e soci che neanche hanno a che vedere con le autostrade. E dunque, il pasticcio sarà epocale.
3) La rete storica delle autostrade italiane è tutta obsoleta. È ovvio che andrebbe rifatta o almeno manutenuta energicamente. Accadrà mai? E con quali soldi? Quelli dei gestori privati, che però si appellano alle clausole dei loro contratti in essere, tutti scritti con lo spirito “rilassato” dell’epoca ante-Morandi? O quelli dello Stato, che non ne ha?
4) In tutto questo, il decreto monco sul ponte è stato l’occasione di un altro scontro tra Governo e alti funzionari del ministero dell’Economia. Sarà il caso di chiarire che col solito disordine mentale e verbale i grillini stanno dicendo malissimo una cosa vera e negativa, che cioè nei ministeri-chiave comandano sul serio soltanto i funzionari, che nessuno ha mai eletto. Sfido: ministri e sottosegretari ruotano in media ogni due anni, i funzionari stanno sempre lì, logico che prevalgano. Quel che i grillini però non dicono e probabilmente non sanno è che per cambiare la situazione – ammesso e non concesso che i funzionari siano in torto, ma anche se non lo fossero, perché è giusto che la politica prevalga – per sostituirli non solo bisogna seguire le procedure e non Twitter, ma bisogna poi sapere con chi rimpiazzarli. E invece, su questo, silenzio…