Le recenti dichiarazioni in merito alla formazione pre e post-laurea dei futuri medici, rilasciate dal ministro della Salute Giulia Grillo, riportano il tema al centro del dibattito del mondo accademico.
Il ministro Grillo nella sua ultima intervista rilasciata al Messaggero ha affermato la necessità di ripensare il sistema di accesso al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, ritenendo il test a numero chiuso una barriera “non meritocratica”, per lo meno per com’è oggi disciplinata. Di fronte a tale sbarramento, dai più considerato iniquo, la Grillo guarda al sistema alla francese come possibile soluzione e afferma come necessaria una riforma del modello delle scuole di specialità, ad ora basato su borse di studio cofinanziate dal Miur e dal dicastero di sua competenza.
Tali dichiarazioni, per quanto contribuiscano appunto a rimettere al centro del dibattito politico il percorso formativo dei giovani medici, negli ultimi anni vessato dalla riduzione progressiva delle borse di studio per l’accesso nelle Scuole di specialità, ci sembrano lontane da un reale tentativo di approfondire una problematica complessa, che necessita di una visione globale per essere affrontata in modo adeguato.
Innanzitutto il numero programmato, nella struttura del sistema attuale, risulta fondamentale per consentire l’accesso a un percorso formativo che costituisce già una sorta di imbuto per i medici neolaureati, per i quali il numero di contratti di specializzazione risulta di gran lunga inferiore al numero di domande che vengono presentate ogni anno al concorso. Ritenere maggiormente meritocratico rispetto al “quiz” il modello francese (che prevede il primo anno aperto a tutti ed una selezione al termine basata sui risultati degli esami del primo anno) rischia di essere un abbaglio: le fisiologiche differenze presenti tra gli atenei, legate alla personalità ed alla metodologia di insegnamento del singolo docente, inevitabilmente porterebbero ad un sistema per sua natura “imperfetto”, nel quale — per fare un esempio — vi sarebbero professori più o meno severi con scarti di giudizio che potrebbero segnare il futuro degli studenti. Sono diverse le problematiche relative alle strutture e ai docenti per far fronte al gran numero di aspiranti medici ed i relativi sprechi di risorse investite dallo Stato per formare una classe di studenti che si ritroveranno costretti ad intraprendere una carriera diversa da quella immaginata.
Il test attuale, che presenta ampi margini di miglioramento, risulta essere uno strumento oggettivo e accessibile, in grado selezionare studenti adatti ad affrontare un percorso di formazione in medicina.
Più che concentrarsi sul sistema di ingresso, sarebbe forse più appropriato aprire una seria discussione con le rappresentanze studentesche e le associazioni di giovani medici sulla formazione post-laurea, vero cruccio del sistema formativo dei medici neolaureati. Il sottofinanziamento delle borse di specialità è sotto gli occhi di tutti (nell’ultimo concorso a luglio 2018 sono stati banditi 6.934 contratti a fronte di oltre 16mila candidati), accompagnandosi, gioco forza, ad una carenza dei medici specialisti su tutto il territorio nazionale.
Risulta evidente come il primo provvedimento da prendere riguardi l’investimento di risorse nei contratti di specializzazione in modo da compararli numericamente al numero di studenti che ogni anno cominciano il proprio percorso di laurea: tale numero dovrà riflettere quello che è il fabbisogno reale di medici specialisti di cui necessita e necessiterà in futuro il Sistema sanitario nazionale. Sarebbe auspicabile, anche se forse poco realistico, che, per dare seguito alle affermazioni del ministro, tali risorse vengano garantite nella legge di bilancio di cui tanto si discute in questi giorni.
Non si può fare a meno di affrontare il tema con una visione di lungo periodo, in modo da non compiere gli errori di programmazione che negli ultimi anni hanno portato i vari governi che si sono succeduti a dover introdurre misure raffazzonate per affrontare situazioni critiche per il sistema, come la carenza di specialisti nelle strutture di pronto soccorso del nostro paese. Solo affrontando la tematica nella sua interezza, approfondendo i cambiamenti che si sono strutturati negli anni in ambito sanitario e coinvolgendo in questo approfondimento coloro che sono impegnati quotidianamente nell’affrontare queste criticità, risulta possibile operare realmente per il bene comune, ossia per garantire agli operatori sanitari e ai pazienti gli strumenti e i mezzi per poter adempiere nel migliore dei modi al percorso di cura.
La sanità italiana, come anche recentemente testimoniato dalla classifica stilata dalla rivista finanziaria Bloomberg, risulta essere una delle migliori al mondo. Compito della politica è di salvaguardare quello che possiamo considerare a tutti gli effetti un patrimonio del nostro paese.