Le conseguenze finanziarie dell’annuncio del varo del Def sono state pessime. Si era capito che il limite dell’1,6% del deficit/Pil sarebbe stato violato, ma non con queste proporzioni e, soprattutto, non in questo modo. Prima di proseguire è utile ricordare che il deficit del 2,4% previsto è identico a quello prodotto nel 2017 dal Governo Gentiloni/Padoan. Se volessimo fare una politica di rilancio vera, ma prima dobbiamo rivoltare la burocrazia, servirebbero numeri più alti. Tipo quello che farà alla fine la Francia nel 2018. Detto questo, la manovra annunciata ieri è una sfida all’Europa perché non solo ci si allontana sensibilmente dal limite dell’1,6% non facendo nemmeno finta di ritenerlo comunque un “paletto”, limitando lo scostamento, ma lo si fa presentando una finanziaria in cui si si usa ogni margine per il reddito di cittadinanza e la riforma delle pensioni, nel frattempo si bloccano tutte le principali opere infrastrutturali e nemmeno si tagliano le tasse alle imprese il cui taglio vale molto meno del reddito di cittadinanza.
Se lo sforamento fosse stato fatto per fare infrastrutture o per una semplificazione, con taglio, delle tasse, l’Europa sarebbe più in difficoltà ad adottare un atteggiamento “intransigente”. La provocazione all’Europa fatta in questo modo ci lascia in balia dello “spread” e non si comprende come a questo punto se ne possa uscire se non con una marcia indietro totale. A fare lo “spread” non sono i mercati. Lo abbiamo imparato nel 2011 quando nemmeno Monti è riuscito a farlo rientrare senza la Bce. Con un misero 2,4% che non rilancia niente siamo riusciti nell’impresa di farci ammazzare sui mercati come se avessimo fatto il 24% per giocare tutte le fiches in una mega mancia elettorale.
In ogni caso: sospensione/cancellazione dei principali progetti infrastrutturali, incluso il terzo valico, nessun abbassamento delle tasse e tutto il margine destinato al reddito di cittadinanza. Una polemica infinita per un deficit del 2,4% comunicato malissimo. In questo modo non si fa ripartire l’economia. I debiti sono raramente buoni o cattivi in quanto tale, ma vengono sempre giudicati in un contesto. Fare un debito per comprare la casa o un macchinario non è la stessa cosa che farlo per andare in crociera. La battaglia, giusta, per un margine di manovra in cui ci sia spazio per gli investimenti così è stata persa forse irrimediabilmente perché manca un disegno per lo sviluppo,
I “mercati” non possono apprezzare la completa assenza di una strategia per rilanciare l’economia, di un progetto a medio lungo termine in cui curare l’economia italiana e con essa il suo debito. Tutti i principali investimenti infrastrutturali sono stati sospesi e sono nel limbo di una “analisi costi benefici” che sembra ogni giorno che passa più ridicola. Il blocco dell’alta velocità Milano-Genova regala per sempre ai porti del nord Europa il trasporto merci.
In questi stessi giorni un’impresa di serie A come Magneti Marelli passa di mano senza che nessuno dica nulla. Ieri un’impresa storica della manifattura del nord, Candy, è stata venduta ai cinesi con prevedibili conseguenze occupazionali e di perdita di know-how. Il secondo costruttore italiano, Astaldi, sta fallendo in questi giorni senza che nessun membro del Governo abbia speso una parola. Senza imprese non si cresce e non ci sono posti di lavoro. I decimi di punto di deficit sono un dettaglio molto secondario. Allargare il sostegno alle fasce più deboli può anche andare bene, ma rimane il problema di come avere più posti di lavoro veri, con imprese vere, che spostano le merci su strade vere. Chiudere le acciaierie per fare parchi tecnologici, come sembrava potesse accadere fino a tre mesi fa, fa più paura di qualche mancia elettorale regalata ancora una volta. Continua la svendita del nostro patrimonio industriale mentre manca qualsiasi indirizzo.
Da non sottovalutare una “comunicazione” pessima culminata con le foto dei festeggiamenti in cui sembrava che in Italia avesse appena preso il potere un colonnello sudamericano dopo i carri armati in piazza. L’impressione, inverificata e inverificabile, è che se il 2,4% di giovedì fosse stato concordato e comunicato in altro modo probabilmente non avremmo visto quello che abbiamo visto sulla borsa ieri. Questa non è una scusante per il Governo, ma un’aggravante, perché dare l’impressione di irresponsabilità o, semplicemente, di incompetenza è comunque grave nei confronti di chi ci guarda e deve decidere quali siano le prospettive di medio termine dell’Italia. Citiamo l’immagine della presa del palazzo come emblema di un atteggiamo che prima ancora che nei numeri è stato sbagliato nei modi. La battaglia sui punti di deficit, se si vuole fare come chi scrive crede sia giusto, non si fa in questo modo. Questo 2,4% di deficit, niente di tragico, sta dando l’impressione di un 4,8%. Non siamo nemmeno riusciti a fare una manovra veramente anticiclica e in compenso ci siamo presi tutte le conseguenze negative che giustamente ci sono quando si prendono dei rischi.
Con queste premesse anche un euro di debito in più fa paura anche se il deficit è lo stesso dell’anno scorso e anche se intorno a noi se ne fa di più. I redditi di cittadinanza sono destinati ad aumentare perché se l’economia non riparte i poveri saranno di più e non di meno. Un’austerity stupida e senza senso ha prodotto il suo uguale e contrario ammazzando la discussione su cosa era meglio fare per fare deficit. Il danno è stato fatto indipendentemente dal fatto che ci sia tempo per correre ai ripari. Oggi abbiamo i teorici dell’austerity sempre e comunque e quelli della spesa sempre e comunque. Due posizioni folli in cui con la prima ci si assicura un lento e inesorabile declino e con la seconda il botto perché i “mercati” non sono terrorizzati dai debiti, ma dalla mancanza di strategia e credibilità sì.