Anche il nuovo anno scolastico è cominciato in salita. Il 25% delle scuole non ha un dirigente titolare, moltissimi i posti vacanti del personale di segreteria e di collaboratori scolastici, nonostante le stabilizzazioni oltre 80mila i docenti precari. Paradossale la situazione del sostegno: aumentano i posti, ma non ci sono docenti specializzati. Negli istituti secondari per alcune discipline specifiche le graduatorie sono esaurite e le cattedre sono affidate con notevole difficoltà a supplenti di fortuna. Evito di soffermarmi sulla questione (tutta italiana) delle maestre diplomate della scuola primaria e sulla sicurezza degli edifici scolastici che, in molte parti del paese, rappresenta una vera emergenza. Infine, ma non ultimo, il crescente disconoscimento educativo della scuola da parte di tanti genitori e studenti che non disdegnano il dileggio e la violenza nei confronti del personale scolastico. Come la mettiamo poi quando andiamo a leggere le classifiche Ocse che rilevano risultati non lusinghieri per il nostro sistema scolastico? Tutto allo sbando? Nonostante tutto, no.
La scuola rappresenta ancora forse l’unico presidio per la tenuta sociale e democratica del paese. Infatti, essendo un servizio pubblico essenziale, attraverso l’istruzione, la formazione e l’educazione concorre a formare le persone ed educare i cittadini. Tuttavia siamo forse arrivati ad un punto di non ritorno che se non si interviene in maniera radicale potrebbe davvero portare l’intera filiera dell’istruzione al collasso. Bisogna cambiare il paradigma. E’ necessario investire in istruzione. Il collasso fisico di molti istituti scolastici e il nodo del reclutamento degli insegnanti rappresentano due emergenze improcrastinabili che richiedono investimenti straordinari. I docenti italiani ricevono retribuzioni nettamente minori di tanti colleghi europei. E prima di giungere al sospirato incarico a tempo determinato (ruolo) devono affrontare un labirinto di percorsi differenti e tortuosi. Il risultato: insegnanti in gran parte insoddisfatti e poco motivati. Un malcontento riconducibile ad alcune inconfutabili realtà: la formazione iniziale e continua inadeguata per la complessità crescente della professione; la carenza di diversificazione di ruoli e responsabilità; il declino del prestigio sociale; un egualitarismo iniquo e non stimolante; il precariato diffuso.
Che dire del funzionamento? Nonostante le tante riforme, di cui l’autonomia e il superamento dei programmi sono sicuramente le più importanti, la struttura organizzativa della scuola è rimasta quella di sempre con i suoi riti e sacralità: classi per età, banchi, cattedra, suono della campanella, voti, tempi uguali per tutti.
Serve una nuova visione del sistema scuola e un progetto di medio lungo periodo fondato sulla valorizzazione dei professionisti dell’apprendimento. Urge un significativo aumento della retribuzione degli insegnanti che, per tante ragioni, non può essere generalizzato. La scarsità delle risorse pubbliche e la necessità di utilizzarle in maniera efficace ed efficiente impone qualche scelta. Gli insegnanti già oggi non sono tutti uguali per impegno e funzioni svolte e le uniche significative differenze retributive sono legate all’anzianità di servizio. Anche gli ultimi tentativi di valorizzazione del merito con l’attribuzione di un bonus premiale ai docenti più meritevoli è stato svuotato nel significato con la riduzione significativa delle risorse assegnate al capitolo. Invece è risaputo che la scuola dell’autonomia non può funzionare solo con gli insegnanti “puri e semplici”. Necessitano altre figure di riferimento che esercitino una leadership didattica e culturale e/o che svolgano il loro lavoro in un’organizzazione più stimolante. Queste figure nella scuola ci sono e per loro, a parte qualche miserevole riconoscimento a carico del fondo di istituto, non è previsto nessun tipo di sviluppo professionale e di carriera.
Serve un nuovo reclutamento. La scuola italiana, la domanda formativa delle nuove generazioni hanno bisogno di professionisti di qualità. La formazione universitaria, i concorsi nazionali o regionali, le graduatorie ad esaurimento — come è stato ben evidenziato nel recente dibattito su queste pagine — hanno mostrato tutti i loro limiti e probabilmente sono le cause fondamentali della crisi del sistema scuola. A mio avviso è necessario attivare percorsi integrati tra l’università e le scuole che forniscano al sistema insegnanti con lauree specialistiche abilitanti i quali, una volta conseguito il titolo, si inseriscono in un albo appositamente costituito. Le scuole autonome dovrebbero assumere direttamente i docenti attingendo all’albo degli abilitati, anche non necessariamente in ordine di graduatoria, ma secondo criteri di adeguatezza alle priorità e specificità del progetto di istituto. Infine, non è più rimandabile una legge sullo stato giuridico degli insegnanti che regoli in maniera chiara i loro diritti e i loro doveri e un contratto specifico per la categoria, distinto da quello per il personale tecnico e amministrativo, come del resto già avviene nella provincia autonoma di Trento.